Le lezioni della rivoluzione in Myanmar

La rivoluzione in Myanmar è entrata in una fase di riflusso dopo mesi di lotte eroiche delle masse. Il regime ha attuato una repressione brutale mentre il movimento di protesta è passato da scioperi e manifestazioni di massa a schermaglie armate su piccola scala. Bisogna porsi la domanda: perché siamo arrivati ​​a una situazione del genere e quali lezioni dobbiamo trarre?


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La brutalità del regime

Dopo che l’esercito birmano ha sferrato il colpo di stato il 1 febbraio, ha dovuto affrontare l’ira dei lavoratori e dei giovani del Myanmar. Le masse sono scese in piazza in gran numero e hanno organizzato scioperi locali e scioperi generali nel tentativo coraggioso di impedire ai militari del generale Min Aung Hliang di ristabilire un governo assolutista. Le masse hanno fatto tutto il possibile per fermare la dittatura militare, ma purtroppo finora hanno fallito.

La giunta, rendendosi conto di non avere alcuna base sociale, nessun sostegno di massa, ha potuto basarsi solo sulla forza. Ha capito che fare anche la minima concessione sarebbe stato visto come un segno di debolezza da parte sua e sarebbe servito solo a incoraggiare e spingere ancora più avanti il movimento di massa. Ecco perché ha deciso di affogare la rivoluzione nel sangue. Centinaia di persone sono state uccise, mentre finora circa 6.421 persone sono in stato di fermo o in prigione.

La brutalità della casta degli ufficiali militari non conosce limiti. Ci sono molte segnalazioni di manifestanti pacifici disarmati che sono stati uccisi dai soldati a sangue freddo. In alcuni casi sono stati anche utilizzati aerei da combattimento per bombardare interi villaggi di civili.

I soldati hanno fatto irruzione negli ospedali alla ricerca di manifestanti feriti, al punto che medici e assistenti si sono trovati nell’impossibilità di lavorare. Ciò ha portato a un esodo di operatori sanitari e sta portando il sistema sanitario del paese sull’orlo del collasso. Il regime militare ha anche ordinato a Medici Senza Frontiere di cessare la sua opera di soccorso, mettendo ulteriormente a rischio migliaia di vite che dipendono dall’azione di questa Ong.

Le case private vengono regolarmente prese d’assalto dai soldati in cerca di manifestanti. Se il regime non riesce a trovare i propri obiettivi, i familiari di questi vengono posti in stato di fermo come ostaggi, perfino i i bambini piccoli. Ci sono stati casi di madri di giovani attivisti arrestate e incarcerate. Questo è un approccio cinico dei militari per fare pressione su chiunque osi continuare a partecipare al movimento di protesta.

I detenuti nelle carceri vengono spesso torturati, anche adolescenti e giornalisti stranieri. Di conseguenza molti sono i morti, sia leader attivisti ben conosciuti che persone comuni dei villaggi.

In realtà, la brutalità del regime militare rivela debolezza e non forza. Se il regime avesse una base sociale di massa su cui poggiare, sarebbe più stabile e avrebbe una rete con una massa di sostenitori in ogni angolo della società che potrebbe usare come ariete contro la classe operaia e i giovani. Mussolini e Hitler salirono al potere appoggiandosi su settori di piccola borghesia esaltata che erano stati rovinati dalla crisi del capitalismo negli anni ’20 e ’30. Quello che abbiamo in Myanmar è il governo diretto dei militari, proprio perché non hanno una base sociale di massa.

Il regime militare bonapartista è corrotto da cima a fondo e governa senza alcun appoggio significativo nella società, tranne forse quello di uno settore molto ristretto degli elementi più privilegiati. Questo spiega perché deve imporre tali livelli di violenza brutale per reprimere le masse. È profondamente preoccupato dalle proteste da parte di queste ultime per il comportamento criminale del regime e il suo governo corrotto.

In particolare, il generale Min Aung Hliang aveva previsto di diventare presidente dopo essersi ritirato dalla carica di comandante in capo, sperando che tale carica pubblica potesse proteggerlo dall’essere perseguito per i suoi crimini commessi negli anni. La massiccia vittoria della Lega Nazionale per la Democrazia (LND) alle elezioni del 2020, tuttavia, ha vanificato i suoi progetti.

Nonostante abbia riservato il 25 per cento dei seggi in parlamento, il partito della giunta, il Partito dell’Unione della Solidarietà e dello Sviluppo (USDP), non aveva un numero sufficiente di parlamentari per nominare Presidente Min Aung Hliang, nonostante la precedente costituzione. Le elezioni del 2020 hanno mostrato quanto poco sostegno abbiano effettivamente i militari nella società birmana.

La classe operaia, con una direzione determinata, avrebbe potuto rovesciare la giunta attraverso un’insurrezione armata dei lavoratori. Sfortunatamente, non esiste una direzione di questo tipo. Infatti questo è il fattore chiave che spiega l’attuale impasse che stanno affrontando le masse in Myanmar.

Mancanza di una direzione rivoluzionaria

Quando ci riferiamo a “direzione rivoluzionaria”, cosa intendiamo? C’è molto dibattito tra i settori più rivoluzionari della gioventù e gli attivisti della classe operaia su ciò che ha portato all’attuale impasse. È stata posta sul fatto che le masse non erano armate e il dibattito si pone in termini di non violenza rispetto alla lotta armata.

Limitare la discussione a queste due opzioni significa ridurre la questione ad una pura questione militare. Ma c’è di più. È chiaro per ogni lavoratore o giovane rivoluzionario che ragiona in Myanmar che, di fronte a un regime così brutale, le masse avevano bisogno dei propri gruppi armati di autodifesa. Sarebbe criminale considerare una prospettiva che non includa questo elemento essenziale.

Tuttavia, una vera direzione rivoluzionaria non poteva limitarsi solo a questa questione. In primo luogo, il successo o il fallimento di una rivoluzione dipende dal programma per cui sta combattendo. La rivoluzione del Myanmar sta lottando per un ritorno alla democrazia borghese e il ripristino della LND con ASSK (Aung San Suu Kyi) a capo, o dovrebbe andare oltre?

Per coinvolgere e mobilitare le masse, la rivoluzione deve dichiarare con coraggio i suoi obiettivi. Questi non possono essere semplicemente un ritorno allo status quo precedente, perché era quello in cui i lavoratori lavoravano per ore interminabili, sotto costante pressione per produrre di più e con bassi salari, con la minaccia continua di essere icenziati. Allo stesso tempo, nelle aree rurali, i contadini stavano affrontando la minaccia altrettanto costante che la loro terra fosse requisita da questa o quella grande società capitalista. E le minoranze etniche venivano represse dai militari.

Se la rivoluzione non offre una soluzione a tutto questo, non riuscirà a mobilitare le masse lavoratrici, non importa quanto coraggiosi siano i manifestanti, non importa quanti appelli vengano fatti per partecipare alla lotta armata. Lascerà infatti i combattenti isolati e in balia della terribile macchina militare che ora governa il Paese.

Pertanto, la rivoluzione deve dotarsi di un programma chiaro. Nei suoi slogan deve essere dichiarato inequivocabilmente che l’obiettivo è introdurre una democrazia autentica, che può solamente essere una democrazia operaia. La democrazia operaia, a sua volta, può essere raggiunta solo se i lavoratori hanno il potere economico. Ciò significa che lo slogan centrale deve essere la nazionalizzazione delle grandi aziende senza indennizzo per i proprietari e quelle stesse aziende devono essere poste sotto la gestione e il controllo democratico dei lavoratori.

Sulla questione della terra, la rivoluzione deve dichiarare che si opporrà – se necessario con le armi in mano – a qualsiasi tentativo da parte delle aziende capitaliste di appropriarsi della terra dei contadini. E deve anche affermare che porrà fine all’oppressione delle minoranze e difenderà il loro diritto all’autodeterminazione in qualunque forma ritengano necessaria.

Ciò significa che la rivoluzione deve affermare chiaramente che ciò che serve è una trasformazione in senso socialista del Myanmar, dove le grandi imprese verrebbero espropriate e le immense ricchezze e le risorse del paese sarebbero utilizzate a beneficio di tutti i lavoratori e non per fare arricchire solo una piccola élite privilegiata.

Ciò che devono essere chiariti sono anche i metodi di lotta. Se alla testa della rivoluzione ci fosse stato un partito rivoluzionario della classe operaia, con militanti sperimentati a tutti i livelli della società, in tutti i luoghi di lavoro, nelle scuole e università, negli uffici statali, nei quartieri e nei villaggi rurali, avrebbe fatto una campagna per uno sciopero generale totale e un’insurrezione armata di massa sia nelle città che nelle campagne.

Un vero partito rivoluzionario di massa non si sarebbe limitato solo a parlare di un esercito alternativo, ma avrebbe cercato ogni mezzo possibile per procurarsi effettivamente le armi e costituire una milizia operaia di massa che avrebbe operato sotto il controllo di organismi eletti dai lavoratori nei luoghi di lavoro e nei quartieri. Questo sarebbe stato il modo di coinvolgere le masse, non come osservatori passivi, ma come partecipanti attivi.

La sostituzione di piccoli gruppi di combattenti armati isolati dalle masse non avvicina minimamente il movimento al rovesciamento di questo odiato regime. È molto simile alla sindrome di Robin Hood, dove un eroico gruppo di combattenti cerca di aiutare i poveri, combatte per loro, ma dove i poveri non partecipano alla propria salvezza.

Qui è utile ricordare le famose parole di Karl Marx:

che l’emancipazione della classe operaia dev’essere opera dei lavoratori stessi; che la lotta della classe operaia per l’emancipazione non deve tendere a costituire nuovi privilegi e monopoli di classe, ma a stabilire per tutti diritti e doveri eguali e ad annientare ogni predominio di classe…” (Statuti provvisori dell’Associazione internazionale dei lavoratori, ottobre 1864)

Come si evince da tutto ciò, il dibattito non può riguardare unicamente la nonviolenza rispetto alla lotta armata, ma deve andare ben oltre.

“Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario”

Il titolo è preso dalle parole scritte da Lenin nel 1902 nel Che fare?, e non sono di secondaria importanza nell’attuale dibattito in corso tra i rivoluzionari in Myanmar. Nel libro, Lenin afferma inoltre che “Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario. Non si insisterà mai troppo su questo concetto in un periodo in cui la predicazione opportunistica venuta di moda è accompagnata dall’esaltazione delle forme più anguste di azione pratica. “.

Lenin era ugualmente critico sia nei confronti degli opportunisti che dell’estrema sinistra. Entrambe queste tendenze partono dall’idea che si debba fare qualcosa di “pratico”. Se torniamo ai primi giorni del marxismo russo, troviamo lo stesso dibattito che abbiamo oggi. I populisti con i loro attentati terroristici accusavano i marxisti di pura “teorizzazione”, di studiare i libri, e continuarono su questa strada finché i loro metodi non si dimostrarono un completo fallimento.

A un certo punto, i primi marxisti russi erano letteralmente un pugno di militanti – tre in tutto – isolati dal movimento di massa. Ci volle tempo ed esperienza perché i migliori giovani coinvolti con i Narodnik iniziassero a mettere in discussione i metodi che avevano adottato. Ma alla fine lo fecero, e così facendo, si rivolsero alla tendenza che potè fornire loro una maggiore comprensione dei processi in corso, con una prospettiva più scientifica e di lungo termine.

Fu così che i marxisti iniziarono a connettersi con la nuova generazione di giovani rivoluzionari all’interno della Russia. La storia ha mostrato chi aveva ragione e chi in realtà era più “pratico” alla lunga: i “semplici teorici”, i marxisti. Tra questi c’era Lenin, che, partendo da numeri molto piccoli, alla fine costruì un partito rivoluzionario della classe operaia di massa e guidò la rivoluzione dell’Ottobre 1917.

Ci sono molti a sinistra che si sostituiscono a Lenin, definendosi anche “marxisti-leninisti”, ma che rifiutano di imparare le lezioni della storia. È perfettamente comprensibile che, di fronte a un regime militare così brutale come quello che abbiamo in Myanmar, molti giovani desiderino agire ora e fare qualcosa per abbatterlo. Questo spiega perché alcuni di loro si rivolgono alle teorie maoiste e citano il famoso “il potere esce dalla canna del fucile”, attribuito a Mao Zedong.

Altri rifiutano l’idea stessa della necessità di un partito rivoluzionario, sostenendo che un partito non può monopolizzare o guidare la rivoluzione. Questo è comprensibile ed è una conseguenza del controllo sul movimento di massa da parte del CRPH/GUN (il Governo di unità nazionale, in esilio dopo il colpo di stato, formato dal CRPH, un gruppo di legislatori del precedente governo), dietro il quale si trova la LND. Ma rifiutare il ruolo dei dirigenti borghesi, che tradiscono apertamente il movimento, non significa che dobbiamo rifiutare il concetto stesso di partito dei lavoratori, degli operai e dei contadini.

Quello che abbiamo qui è la rinascita di vecchie idee, un misto di anarchismo e populismo, di un rifiuto della teoria e un’enfasi sulle soluzioni “pratiche”. Tutto questo unito all’idea che il compito immediato è il ripristino della democrazia, che inevitabilmente significa democrazia borghese.

Ciò si adatta bene alla teoria stalinista delle fasi, in cui la prima fase è la rivoluzione democratica. Questa teoria ha portato alla sconfitta di molte rivoluzioni nella storia. Abbiamo visto potenti forze rivoluzionarie, con enormi eserciti guerriglieri, finire per scendere a compromessi con la borghesia. Lo abbiamo visto in Nicaragua e più recentemente in Nepal. In entrambi i paesi i lavoratori avrebbero potuto prendere il potere, ma la direzione della guerriglia si è rifiutata di seguire quella strada e ha cercato un compromesso di classe.

Quelli che aderiscono a queste idee dovrebbero anche chiedersi perché la Cina oggi ha un’economia di mercato, e perché il regime cinese che è salito al potere attraverso la “canna del fucile” non sostiene oggi il movimento rivoluzionario in Myanmar, ma al contrario sta lavorando con l’attuale regime.

Per tornare alle parole di Lenin: “Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario”. Lenin non pone la teoria come alternativa all’azione rivoluzionaria. La storia dimostra che Lenin non era solo un semplice teorico. Ma dobbiamo studiare come la teoria venne usata da Lenin come guida all’azione. Senza questo, siamo persi.

ASSK e la LND

Sfortunatamente come abbiamo spiegato sopra, a causa della mancanza di una direzione rivoluzionaria, le masse del Myanmar sono un branco di leoni guidati da agnelli. La complicità dei leader liberali borghesi della LND sta strangolando il movimento. Fondamentalmente, condividono la stessa posizione di classe, e quindi lo stesso atteggiamento, della casta degli ufficiali militari nei confronti della classe operaia. Sia gli ufficiali dell’esercito che i liberali della LND basano la loro politica sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, dove una minoranza possiede la ricchezza e la stragrande maggioranza lavora per loro, producendo la ricchezza che possiedono.

Se non si comprende questo, non c’è alcuna spiegazione scientifica razionale per ciò che abbiamo visto accadere nel periodo recente. I vertici militari e i liberali borghesi possono entrare in conflitto tra loro; i militari possono arrestare alcuni liberali borghesi; a loro volta i liberali borghesi possono fare molto chiasso sulla brutalità dei militari, ma entrambi opprimono i lavoratori e vivono in condizioni privilegiate a loro spese.

In effetti i vertici militari condividevano il ​​potere con i liberali della LND, ma ora hanno arrestato Aung San Suu Kyi (ASSK), la ex leader della LND e della nazione, per corruzione. Le accuse sono probabilmente inventate, proprio come tutte le precedenti accuse ridicole che il regime ha mosso contro di lei. Ma il punto qui non è se le accuse sono vere. Il punto è che, in un modo o nell’altro, in questa fase i generali sono determinati a mettere ASSK fuori dai giochi.

Ciò non è dovuto alle sue convinzioni politiche, poiché negli ultimi anni ha dimostrato di essere estremamente collaborativa con il programma dell’esercito, soprattutto nell’insabbiare il genocidio dei Rohingya. Il motivo per cui lo stanno facendo è perché, nonostante i suoi limiti, ha ancora un appoggio di massa significativo.

Inoltre, nonostante la sua passata collaborazione con i militari, allo scoppio della lotta, le masse birmane consideravano ancora ASSK come un simbolo della loro causa. I suoi ritratti erano onnipresenti in tutte le lotte e gli scioperi. Rilasciarla ora o farle anche la minima concessione verrebbe visto come un segno di debolezza da parte dei militari e potrebbe dare coraggio alle masse.

Ciò significa che, anche solo per garantire il rilascio di ASSK, per non parlare di autentiche riforme democratiche, sarebbe necessario niente meno che il rovesciamento totale dell’esercito. Perché ciò possa riuscire – come abbiamo spiegato sopra – le armi dovrebbero essere distribuite ai settori più ampi possibili della società, e i lavoratori e i giovani dovrebbero essere addestrati e organizzati in picchetti di difesa armata, ma la direzione della LND non è disposta a farlo.

La ragione di ciò è abbondantemente chiara se ricordiamo quanto detto sopra. I liberali borghesi non faranno nulla che metta in pericolo la continuità del sistema capitalista in Myanmar. Come spiegarono Marx ed Engels nel Manifesto del partito comunista:

Con lo sviluppo della grande industria, dunque, vien tolto di sotto ai piedi della borghesia il terreno stesso sul quale essa produce e si appropria i prodotti. Essa produce anzitutto i suoi seppellitori“.

I lavoratori in Myanmar – i futuri becchini del capitalismo birmano – sono diventati una forza sociale potente. Il Myanmar è ancora un paese relativamente sottosviluppato, ma la classe operaia si è enormemente rafforzata negli ultimi anni. La composizione del suo PIL (Prodotto Interno Lordo) ne è un’indicazione, con l’agricoltura che ora ne rappresenta solo il 25% circa, mentre l’industria rappresenta oltre il 35% e i servizi il restante 40%.

La forza lavoro del paese è ora ben oltre i 22 milioni, con il 7% e il 23% rispettivamente impiegati nell’industria e nei servizi. Il fatto che il 70 per cento della forza lavoro sia nel settore agricolo è indice del relativo sottosviluppo, ma nonostante ciò oltre il 30 per cento della popolazione vive ora nelle aree urbane, con circa 5,5 milioni che vivono a Yangon e 1,5 milioni a Mandalay.

Negli ultimi anni, grazie principalmente al suo legame con l’economia cinese, il paese ha registrato tassi di crescita economica annuali che vanno dal 6% all’8% (tra il 2014 e il 2018). Ciò ha rafforzato la classe operaia in termini di peso sociale all’interno della società. È anche una classe operaia molto giovane e combattiva, e negli ultimi dieci anni circa si è abituata ad avere sindacati, e i diritti di organizzarsi, di protestare e di scioperare.

Questa è la classe che potrebbe guidare il resto delle masse lavoratrici del Myanmar in una rivoluzione vittoriosa per rovesciare non solo l’attuale odiata giunta militare, ma anche il sistema economico che difendono, il capitalismo. È l’ascesa di questa classe che spiega gli scioperi generali poderosi che abbiamo visto durante il recente movimento di protesta contro la giunta. Ma l’ascesa di questa classe spiega anche la mancanza di entusiasmo da parte dei leader della LND verso l’idea di costruire un esercito alternativo di massa. Una volta armati, i lavoratori del Myanmar non sarebbero così entusiastidi restituire il potere ai liberali borghesi.

Forza di Difesa Popolare o le masse in armi?

Tutto questo spiega perché la Forza di Difesa Popolare (FDP) che è stata costituita il 5 maggio dalla LND alla guida del governo parallelo (il Governo di unità nazionale), che avrebbe dovuto essere un esercito con integrati tutti i gruppi ribelli anti-regime esistenti, si è rivelata essere una piccola milizia composta da pochi volontari.

La tattica principale dell’FDP al momento è incentrata su attentati a singoli ufficiali dell’esercito e su scontri su piccola scala. Sono stati regolarmente segnalati casi individuali di soldati o colonnelli uccisi da bombe o attacchi “mordi e fuggi”. L’azione più significativa finora è avvenuta a Mandalay il 22 giugno, dove l’esercito ha tentato di prendere d’assalto un edificio dove si trovava una squadra di combattenti dell’FDP.

Le vittime di queste azioni tendono ad essere sotto la decina, e nonostante ciò creano qualche difficoltà al regime. Tuttavia, le milizie regionali a base etnica che sono meglio armate, come nello stato settentrionale di Shan o nello stato di Chin, possono generalmente infliggere perdite più pesanti all’esercito.

Concretamente parlando, il FDP è solo una delle tante milizie guerrigliere che esistono all’interno dei confini del Myanmar. Le milizie etniche, con anni di esperienza nella lotta contro l’esercito birmano, forniscono solo l’addestramento ai volontari dell’FDP, ma non esiste alcun meccanismo coordinato a livello centrale tra le milizie e l’FDP.

I marxisti riconoscono l’immenso coraggio degli attivisti che si sono uniti all’FDP nel tentativo di rovesciare la tirannia. Allo stesso tempo, questi combattenti e i loro simpatizzanti devono anche capire che con il solo sacrificio non si vince una rivoluzione. Serve anche una corretta strategia.

La guerriglia nelle aree rurali può certamente svolgere un ruolo nella lotta contro un regime militare oppressivo, ma il suo ruolo è in definitiva ausiliario a quello delle masse della classe operaia urbana organizzata. Le stesse masse operaie devono essere la forza trainante della lotta contro il regime. Se la classe operaia nelle aree urbane è mantenuta in una posizione passiva, che di fatto significa una stabilizzazione della situazione per il regime militare, allora l’esercito può lavorare per isolare i gruppi combattenti.

Quando manca un coordinamento strutturato e centralizzato tra i vari FDP locali, i militari schiacciano completamente queste forze andando area per area. Abbiamo l’esempio in cui un piccolo gruppo di combattenti armati ha sparato all’autorità del villaggio nominata dai militari. Il modo in cui i militari hanno risposto può essere visto in un post su Facebook, che descrive come l’esercito ha bruciato il villaggio e ucciso a sangue freddo diverse persone il 15 giugno a Kinmarwa, nel comune di Pauk, nella regione di Magway. Sebbene molti degli abitanti del villaggio siano riusciti a fuggire, molti degli anziani sono stati bruciati vivi a causa degli incendi appiccati dall’esercito.

Per indebolire la capacità operativa dell’esercito, i combattenti armati devono far parte di un movimento rivoluzionario di massa molto più ampio. Le masse devono essere trascinate nella lotta distribuendo loro armi e organizzandole dove si trovano. Per illustrare la strategia, Lenin fece riferimento a un esempio di successo di come questo fu fatto nella regione di Riga durante la rivoluzione russa del 1905:

“Guardate quale successo, anche dal punto di vista strettamente militare, ha coronato l’impresa di Riga. Al nemico sono stati uccisi tre uomini, e i feriti sono probabilmente da cinque a dieci. Le nostre perdite si riducono a due uomini probabilmente feriti, e perciò fatti prigionieri del nemico. Il nostro bottino: due capi rivoluzionari strappati alla prigionia. È una splendida vittoria! E’ una vera vittoria nello scontro con un nemico armato fino ai denti. Non si tratta più di una congiura contro un individuo inviso, non di un atto di vendetta, d’un atto disperato, non d’una semplice « intimidazione », no, si tratta dell’inizio di operazioni studiate e preparate, calcolate dal punto di vista dei rapporti di forza, di distaccamenti dell’esercito rivoluzionario. Il numero di tali distaccamenti, composti di 25-75 uomini, può in ogni grande città, e spesso nei sobborghi di una grande città, essere portato a parecchie decine. Gli operai entreranno a centinaia in questi distaccamenti; basterà cominciare immediatamente la propaganda su vasta scala di questa idea, basterà formare questi distaccamenti e rifornirli di qualsiasi genere di armi, dai coltelli e pistole fino alle bombe, dar inizio alla loro istruzione e educazione militare“. (Lenin, “Dalla difesa all’attacco”, corsivo nostro)

In una lettera al comitato di lotta di Pietroburgo, Lenin inoltre consigliava:

“Andate alla gioventù. Fondate subito dovunque squadre di combattimento tra gli studenti, e in particolare tra gli operai, ecc. ecc. Si organizzino subito squadre formate da 3 a 10 a 30 e più uomini, che si armino subito coi propri mezzi, come possono, con pistole, coltelli, stracci imbevuti di petrolio, ecc., eleggano subito i loro dirigenti e si mettano in contatto, per quanto possibile, col comitato di lotta presso il comitato di Pietroburgo. Non esigete nessuna formalità, infischiatevene, per Cristo, di tutti gli schemi, mandate a tutti i diavoli le « funzioni, i diritti e i privilegi ». Non chiedete che si entri obbligatoriamente nel POSDR, sarebbe un’esigenza assurda per un’insurrezione armata. Non rifiutate di mettervi in contatto con nessun circolo, sia pure formato da sole tre persone; l’unica condizione deve essere che non vi siano spie della polizia e il circolo sia pronto a combattere contro l’esercito zarista”. (Lenin, “Al comitato di lotta presso il comitato di Pietroburgo”, corsivo nell’originale)

Anche coloro che non possono partecipare al combattimento potrebbero essere inclusi nelle operazioni. Come consigliava Lenin:

“Inoltre, per lavoro preparatorio si intendono le operazioni immediate di esplorazione, di ricognizione: per venire a conoscenza delle piante delle prigioni, dei posti di polizia, dei ministeri, ecc.; per sapere com’è distribuito il lavoro nelle amministrazioni statali, nelle banche ecc.; com’è organizzata la loro difesa; per cercare di stabilire contatti che possano essere utili (con impiegati di polizia, di banca, del tribunale, della prigione, della posta, del telegrafo, ecc.); per sapere dove si trovano i depositi di armi, tutti i negozi di armi della città, ecc. Di lavoro ce n’è un mucchio, ed è inoltre un lavoro nel quale chiunque, anche se assolutamente inidoneo alla lotta di strada, può essere di immenso aiuto, lo possono anche le persone estremamente deboli, le donne, gli adolescenti, i vecchi, ecc. Bisogna far di tutto per raggruppare subito in distaccamenti, immancabilmente e assolutamente, tutti coloro che vogliono partecipare all’insurrezione, poiché non c’è e non ci può essere una persona che, desiderando di lavorare, non possa riuscire molto utile, anche se non ha armi, anche se non è idonea alla lotta”. (Lenin, I compiti dei distaccamenti dell’esercito rivoluzionario, corsivo nostro)

Quello che invece abbiamo oggi in Myanmar è un FDP composto da piccoli gruppi separati dalle masse, anche se le masse simpatizzano nei loro confronti. Secondo un rapporto del New York Times sul recente scontro a fuoco di Mandalay, sembrerebbe che i gruppi armati dell’FDP non siano sufficientemente legati alle masse:

“Con gli spari sporadici che risuonano attraverso Mandalay per gran parte di martedì, la Forza di Difesa Popolare ha fatto appello alla solidarietà, chiedendo ai residenti di bruciare pneumatici nelle strade per rallentare l’arrivo dei veicoli blindati (…) L’FDP di Mandalay ha bisogno dell’assistenza della gente”, ha detto Bo Zee Kwa un leader della resistenza locale. ‘Abbiamo bisogno urgentemente della cooperazione della gente’”.

I combattenti dell’FDP sono molto coraggiosi e stanno facendo il possibile per lottare contro questo odiato regime. Ma per ottenere la vittoria, i civili non dovrebbero essere semplici spettatori a cui ci si appella, ma dovrebbero essere attivamente armati e addestrati. Attraverso l’istituzione di comitati di autodifesa di quartiere e dei luoghi di lavoro, le azioni armate dovrebbero essere sotto il controllo delle masse stesse. Ciò è realizzabile soprattutto a Mandalay che rappresenta un importante centro della lotta di massa contro la giunta militare.

Chi è responsabile del fatto che i gruppi di combattimento dell’FDP siano su scala così piccola? Fondamentalmente, questo ricade sulla LND. In quanto liberali borghesi, la prospettiva di armare le masse è per loro più spaventosa della repressione militare. I politici della LND difendono gli interessi delle classi possidenti, dei capitalisti, sia quelli birmani che gli imperialisti, e dei proprietari terrieri.

Non vogliono distruggere le forze militari del Myanmar, perché sono i “corpi di uomini armati” – per usare un termine marxista – che difendono la proprietà privata dei mezzi di produzione. Armare veramente il popolo e creare un esercito alternativo significherebbe mettere il potere reale nelle mani delle masse lavoratrici. I politici della LND non si fidano delle masse per ristabilire semplicemente la democrazia borghese, ma temono che una volta avendo avuto un assaggio della propria forza, la userebbero per andare molto oltre mettendo in pericolo le stesse basi su cui poggia il capitalismo in Myanmar.

È anche comprensibile che le organizzazioni armate regionali delle minoranze etniche, nonostante forniscano rifugio e addestramento agli attivisti anti-governativi, non si fidino abbastanza della LND per aderire all’FDP. Non sono disposti a subordinarsi a questi liberali borghesi che non molto tempo fa hanno lavorato assieme alla giunta per schiacciare le forze regionali. Sarebbe uno scenario diverso se le masse urbane e rurali fossero guidate da un loro partito, che non abbia nulla a che fare con la LND.

I leader della LND non sono preparati per andare fino in fondo nella formazione di un popolo in armi, ma preferirebbero cercare una sorta di compromesso con i militari. Sperano che i militari si preparino per un ritorno alla democrazia parlamentare borghese formale.

A causa della base di appoggio estremamente limitata che la casta degli ufficiali dell’esercito ha tra la popolazione, oltre alla necessità di rassicurare gli investimenti stranieri, non è improbabile che – ad un certo punto in futuro – cercheranno di trovare un modo per riavvicinarsi alla LND nel tentativo di formare un nuovo governo di coalizione ancora più favorevole di prima ai militari. Potrebbero non integrare ASSK in esso, a causa dell’entusiasmo che ancora ispira tra le masse, ma non mancano i politici della LND di seconda o terza fila che sarebbero disposti a stringere un accordo marcio con il governo militare.

L’attuale impasse della situazione è radicata nella natura borghese della LND, che rappresenta la classe capitalista del Myanmar, una classe emersa di recente. La loro posizione di classe fa sì che temano sempre di più i lavoratori che il regime.

L’intero sviluppo della rivoluzione del Myanmar ha molti paralleli con la rivoluzione russa del 1905. I marxisti onesti , i socialisti e i democratici coerenti in Myanmar dovrebbero studiare da vicino quell’esperienza così come gli scritti di Lenin durante e dopo quel periodo.

La conclusione più importante da trarre da ciò è che la lotta per la democrazia richiede che alla sua testa ci sia assolutamente un partito operaio indipendente, senza illusioni o sostegno per qualsiasi democratico liberale borghese. In relazione a questo, Lenin spiegava:

“La borghesia, che si trova tra due fuochi (l’autocrazia e il proletariato), è capace di cambiare in mille modi e con mille mezzi la sua posizione e le sue parole d’ordine, adattandosi di un pollice a destra e di un pollice a sinistra, mercanteggiando senza fine e facendo costantemente il sensale. Il compito della democrazia proletaria non consiste nell’inventare tali «paragrafi» morti, ma nel criticare instancabilmente lo sviluppo della situazione politica, nello smascherare le inconseguenze e i tradimenti, sempre nuovi e imprevisti, della borghesia.”. (Lenin, “Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica”)

Calcoli delle potenze straniere

L’atteggiamento delle varie potenze regionali ha un impatto significativo sulla rivoluzione in Myanmar. Finora, due dei più significativi, la Cina e l’ASEAN (l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico), si sono fatti da parte, il che significa che stanno di fatto appoggiando il regime militare.

Tuttavia, è anche vero che nessuna di queste potenze era soddisfatta degli ufficiali dell’esercito del Myanmar che hanno provocato l’attuale situazione di tumulto e instabilità. Un mese dopo il colpo di stato, il primo ministro di Singapore Lee Hsian-Loong ha apertamente definito l’uso della forza da parte dell’esercito contro i manifestanti come “disastroso”. La Cina ha fatto appello al dialogo quattro giorni dopo il colpo di stato e ha attivamente cercato la riconciliazione tra i militari e la LND.

Nelle prime fasi degli eventi, per la Cina e l’ASEAN faceva poca differenza, in termini pratici, se a governare Myanmar fossero i militari o la LND, poiché entrambe le parti erano allineate con i loro interessi capitalistici. Ma quando il movimento ha raggiunto proporzioni rivoluzionarie e la LND è stata costretta a minacciare una guerra civile, le due forze hanno iniziato a cambiare idea.

Il 24 aprile i paesi dell’ASEAN hanno convocato un vertice a Giacarta per discutere della situazione in Myanmar. Min Aung Hliang era presente, mentre nessuno della LND/GUN è stato invitato. Questo dettaglio, da solo, ha determinato l’esito del vertice: i paesi dell’ASEAN si sarebbero schierati dalla parte del regime. Poco dopo, la Cina ha accolto con favore l’esito del vertice.

Nonostante il loro disappunto nei confronti della giunta, sia la Cina che l’ASEAN non possono fare a meno di assumere questa posizione. La ragione di ciò è assolutamente chiara: il carattere rivoluzionario della lotta per la democrazia in Myanmar minaccia fondamentalmente tutti gli stati dell’ASEAN, che, in un modo o nell’altro, sono tutti regimi antidemocratici.

Alcuni di loro, in particolare Thailandia e Indonesia, solo di recente hanno respinto i movimenti di massa all’interno dei propri confini. Permettere che il regime militare venga rovesciato dal movimento di massa in Myanmar, perfino sotto la guida della LND, rischia di aprire ancora una volta le porte a movimenti di massa in quei paesi. Lo stesso vale per la Cina, che solo di recente è riuscita a reprimere il movimento a Hong Kong, ma sta vedendo il malcontento affiorare in superficie in altre regioni sotto il proprio controllo.

Con il sostegno della Cina e dell’ASEAN, oltre a un recente accordo per acquistare armi dalla Russia, l’esercito del Myanmar si è assicurato il sostegno delle potenze più influenti della regione. Tuttavia, questa loro avventura che ha aperto il vaso di Pandora non verrà dimenticata dai loro sostenitori. Il sostegno tacito della Cina e dell’ASEAN continuerà se il regime potrà dimostrare di essere in grado di stabilizzare la situazione e garantire buoni rapporti commerciali. Se il regime rischia di spingere la situazione al punto in cui potrebbe scatenarsi un movimento rivoluzionario delle masse, allora il sostegno straniero potrebbe venir meno.

Ci sono anche divisioni che possono aprirsi all’interno della stessa casta degli ufficiali. Se, a un certo punto, il mantenimento di un governo militare diventasse insostenibile, alcuni di questi ufficiali potrebbero diventare più suscettibili alle pressioni esterne di una potenza come la Cina. Nel prossimo periodo, queste potenze straniere potrebbero arrivare a favorire un settore della giunta rispetto ad altri considerati troppo inaffidabili.

Le potenze imperialiste occidentali sono quelle con meno influenza a Myanmar. Rilasciano dichiarazioni in cui chiedono la “democrazia” ma non fanno altro. Sono come i leader della LND e temono che la situazione sfugga al controllo e si muova in una direzione rivoluzionaria. Il problema che hanno le potenze imperialiste occidentali non è per il fatto che esista un governo dei militari. Hanno appoggiato molti regimi militari in passato.

Fino ad oggi hanno fatto buoni affari con il regime saudita e con il regime di Al-Sisi in Egitto, nessuno dei quali è rinomato per le sue credenziali democratiche. In entrambi questi paesi le persone scompaiono, vengono torturate e uccise semplicemente per aver fatto il minimo appello ai diritti democratici. Ma i loro mercati sono aperti agli affari per le potenze statunitensi ed europee. In Myanmar, la principale potenza straniera è la Cina, che ha enormi interessi nel Paese, dopo aver investito miliardi. Questo è ciò di cui si lamentano gli imperialisti occidentali, e attraverso ASSK speravano di ottenere una maggiore influenza all’interno del paese.

Questo spiega perché, oltre a ripetute parole di condanna, sanzioni commerciali inefficaci e risoluzioni prive d’effetto da parte delle Nazioni Unite, l’unica azione sostanziale intrapresa dai paesi occidentali è stata quella delle compagnie petrolifere Total e Chevron che hanno bloccato il pagamento dei dividendi alle imprese statali del petrolio e del gas nelle quali hanno un partecipazione in Myanmar. Ciò non ha avuto alcun effetto sulle operazioni di gas e petrolio, per non parlare della posizione del regime.

La farsa di un simile “intervento” delle potenze imperialiste occidentali “democratiche”, con gli Stati Uniti in testa, mostra il relativo declino della loro posizione a livello mondiale. Ciò significa che in Myanmar non possono nemmeno approfittare della situazione per contrastare la Cina nella difesa dei propri interessi.

I leader della LND sono pienamente consapevoli del dominio schiacciante della Cina sul Myanmar. Questo spiega perché, nonostante le loro simpatie verso l’Occidente, si sono docilmente adattati all’esercito quando erano al governo, fino al colpo di stato. Solo quando sono stati arrestati o costretti alla clandestinità hanno lanciato un appello per l’intervento statunitense. Questo, tuttavia, non era dovuto a una qualche illusione ingenua riguardo alla volontà di intervento da parte del governo statunitense. Sono pienamente consapevoli del fatto che gli Stati Uniti non sono in grado di organizzare un’operazione militare contro la giunta militare del Myanmar. No, i loro appelli erano solo una distrazione criminale dal compito necessario di armare le masse.

Conseguenze caotiche

Ciò che più preoccupa il regime cinese, l’ASEAN e anche le potenze occidentali è il fatto che il golpe e gli eventi che ne sono seguiti hanno devastato l’economia del Myanmar.

Un esempio è il fatto che il prezzo dei fertilizzanti è aumentato di circa il 40%, il che a sua volta ha un impatto sulla resa dei raccolti e sui prezzi. Ciò avrà effetti seriamente negativi per l’oltre 48,45 per cento della forza lavoro totale che in Myanmar ancora lavora nel settore dell’agricoltura.

230.000 persone sono state sfollate e hanno urgente bisogno di alloggi, cibo e beni di prima necessità.

Secondo Initium Media di Hong Kong, molti negozi e ristoranti a Yangon rimangono chiusi, nonostante le pressioni dei militari sulla riapertura delle attività. C’è una grave carenza di contanti, che porta a vedere scene in cui fino a centinaia di persone fanno la fila davanti a un singolo bancomat. Il bisogno di contanti è diventato così disperato che alcuni hanno preferito infrangere il coprifuoco e rischiare di essere arrestati, solo per poter ottenere un posto in testa alla coda alle 3 del mattino.

La Banca Mondiale prevede una contrazione del 10% nell’economia birmana. Il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo ha avvertito che il tasso di povertà nel paese potrebbe raddoppiare, gettando quasi la metà della popolazione nell’indigenza.

I vertici dell’esercito non subiranno la stessa devastazione economica del resto del paese. Manterranno la loro ricchezza e potrebbero persino arricchirsi individualmente, poiché dopo il golpe hanno consentito, in cambio di tangenti, l’estrazione illegale di giada, un commercio multimiliardario.

Qui abbiamo un caso in cui gli interessi di pochi individui molto ricchi e molto potenti entrano in contraddizione con gli interessi del sistema nel suo insieme. In effetti, la casta militare, trasformatasi in capitalista, è sfuggita al controllo del capitale internazionale.

La responsabilità di questo stato di cose caotico ricade direttamente sugli ufficiali dell’esercito che hanno compiuto il colpo di stato, ma anche sulla LND, che ha tradito le masse. C’è chi è arrivato ​​al punto di incolpare il movimento delle masse per il crollo dell’economia. Presumibilmente, le masse avrebbero dovuto rimanere passive, di fronte alla presa del potere dei militari! Invece la responsabilità dello sconvolgimento economico è dei capi militari e dei liberali borghesi, incapaci di mobilitare le masse in modo genuinamente rivoluzionario.

Finché c’è un’impasse, con i militari che mantengono ostinatamente il potere e con le masse che contestano il regime, L’instabilità economica continuerà. Per sbloccare lo stallo è necessario che la classe operaia prenda il potere, come l’unica classe in grado di gestire efficacemente la crisi economica attraverso un piano economico democratico e il controllo operaio della produzione, dei prezzi e della distribuzione.

Una nuova fase della lotta di classe in Asia

Resta il fatto che le masse in Myanmar hanno mostrato un immenso coraggio e slancio rivoluzionario. Questo, però, non basta per rovesciare questo odiato regime. Sebbene alcuni coraggiosi combattenti stiano ancora effettuando attacchi contro l’esercito, dobbiamo ammettere apertamente e onestamente che la rivoluzione del Myanmar è in una fase di riflusso. Senza una chiara prospettiva di rovesciamento del regime da parte del movimento, era inevitabile che a un certo punto arrivasse la stanchezza. I lavoratori devono sfamare le loro famiglie e pagare l’affitto, e a meno che la rivoluzione non mostri segni di ottenere presto la vittoria, l’ondata della rivoluzione inevitabilmente si spegnerà. Ora è il momento di trarre delle lezioni serie.

Questa rivoluzione, per la sua vastità e combattività, ha già fatto la storia non solo per il Myanmar, ma ben oltre i suoi confini. È stata una fonte d‘ispirazione per i lavoratori e i giovani di tutto il mondo, e specialmente in Asia. Ma non è un caso isolato, sebbene sia la più avanzata per livello di militanza e partecipazione delle masse, in particolare della classe operaia. Fa parte di un processo di rivoluzioni che negli ultimi tempi si sta svolgendo in tutto il continente.

È una continuazione dello stesso processo iniziato nel 2019 con il movimento di protesta a Hong Kong contro la legge sull’estradizione, seguito dalla lotta della Thailandia contro la propria dittatura militare nel 2020. La natura internazionale del movimento può essere vista nel fatto che il “saluto con le tre dita” che ha avuto inizio nelle proteste thailandesi è stato adottato dalle masse del Myanmar nelle loro proteste.

La differenza qualitativa in Myanmar, tuttavia, è stata il coinvolgimento decisivo della classe operaia. Ci sono stati enormi scioperi generali con partecipazione di massa, cosa che non abbiamo osservato né a Hong Kong né in Thailandia.

I lavoratori della regione, separati dai confini nazionali imparano dalle reciproche esperienze. Soffrono condizioni simili di salari bassi, pressioni per produrre di più, vivono in abitazioni malsane e così via. In un modo o nell’altro sono anche vittime delle misure repressive della polizia, con il Myanmar che è il paese che subisce la repressione maggiore in ​​questo momento, ma anche in Thailandia i lavoratori e i giovani sentono la mano pesante della brutalità dello stato.

Anche nel vicino Bangladesh, dove formalmente vige una democrazia parlamentare, i veri diritti democratici sono molto limitati e le bande criminali sono colluse con le forze di sicurezza e hanno legami fino all’interno del governo, mentre la legge limita ciò che le persone possono effettivamente dire senza rischiare lunghe pene detentive. La situazione di Hong Kong ha recentemente evidenziato anche la natura oppressiva del regime cinese.

Le masse in tutta la regione desiderano una vera libertà, autentici diritti democratici, il diritto alla libertà di parola, il diritto di protestare, il diritto di sciopero, il diritto di organizzarsi e così via. Il desiderio di tali libertà è un’espressione dell’odio che le masse nutrono verso le élite che le governano, il desiderio di una vita migliore, di migliori condizioni di lavoro, di un tenore di vita migliore, e la democrazia è vista come il mezzo per raggiungere questo obiettivo . Così la lotta per una vita migliore delle masse e la lotta per la democrazia vanno di pari passo.

La recente esperienza del Myanmar, tuttavia, mostra che anche questa limitata democrazia borghese è vista come una minaccia dai ricchi e dai potenti, non perché minacci direttamente i loro interessi, ma perché consente alle masse di organizzarsi e protestare. In Myanmar, prima della presa del potere dei militari, la costituzione concedeva molti poteri ai vertici dell’esercito, compreso il diritto di intervenire direttamente se percepissero un’emergenza.

La lezione principale del Myanmar è che non ci si può fidare dei liberali borghesi per difendere gli interessi delle masse lavoratrici. Chiunque abbia la minima conoscenza della situazione prima del golpe di febbraio saprà che ASSK ha collaborato apertamente con i militari, al punto da coprire persino il genocidio delle minoranze etniche. È tragico che oggi sia ancora additata come un simbolo del movimento e la sua foto venga portata durante le proteste di massa.

Ciò che serve è una direzione indipendente e un partito di massa della classe operaia. Un tale partito potrebbe unire intorno a sé le masse lavoratrici birmane e potrebbe fornire una vera direzione combattiva all’interno dei sindacati. Oggi la dirigenza sindacale tende a mettersi in coda alla ASSK e alla LND, il che significa limitare le possibilità di azione dei lavoratori. Oggi la vera democrazia in Myanmar si può raggiungere solo spezzando il potere della borghesia, sia quella più allineata con le potenze imperialiste occidentali che ai capitalisti militari che hanno un potere immenso nel paese. A meno che il potere di queste persone non venga spezzato, non possono esserci diritti democratici duraturi.

Tutto questo spiega perché ciò che sta accadendo in Myanmar è seguito con attenzione anche da attivisti operai e studenti di tutta la regione. Riuscire a rovesciare l’oligarchia che governa il Myanmar sarebbe da esempio per le masse asiatiche e non solo. E questo, a sua volta, spiega perché le classi dominanti dell’ASEAN si siano rapidamente allineate alla giunta militare contro la classe operaia birmana. Quando hanno visto le proporzioni rivoluzionarie del movimento di massa in Myanmar, così poderoso – specialmente il movimento della classe operaia – lo hanno considerato come una minaccia per il sistema capitalista stesso, non solo in Myanmar ma in tutta la regione.

Il coraggio e le azioni rivoluzionarie della classe operaia del Myanmar sono un esempio per i lavoratori di tutta l’Asia. Il loro successo avrebbe messo a ferro e fuoco l’intera regione. La sua repressione brutale sarà stata osservata anche dalle masse della regione, e il rischio è che da tutto ciò si possano trarre conclusioni pessimistiche. Perché proprio come la rivoluzione ha un impatto internazionale, lo stesso vale per la reazione. Ma ciò che deve essere compreso è che la sconfitta della rivoluzione non era una conclusione scontata. Non era inevitabile, ma è dovuto alla direzione, o meglio alla mancanza di direzione.

Poiché i lavoratori non avevano un proprio partito, si limitavano ad esprimersi politicamente attraverso un partito della classe capitalista, la LND. E finché le masse birmane ripongono la loro fiducia in questa gente, non troveranno mai una via d’uscita dall’impasse.

Questo significa che è escluso un ritorno alla democrazia in Myanmar? No, prima o poi questo regime crollerà, perché ha pochissimo sostegno reale tra la massa del popolo. Il solo dominio della spada non garantisce stabilità a lungo termine. Prima o poi le masse si riprenderanno da questa situazione. Ci vorrà del tempo, ma si riprenderanno. Tutta la storia della classe operaia mondiale mostra quanto è vero questo. Dalla Spagna franchista all’Italia sotto Mussolini, dal Cile di Pinochet ai regimi militari in Corea del Sud, Taiwan e molti altri, abbiamo visto come questi regimi siano stati abbattuti dal desiderio ardente di libertà delle masse.

La storia mostra anche come si comporta la borghesia in tali circostanze. Costringono i mostri militari a tornare nelle loro caserme, ma non smantellano la macchina militare dello stato. Presentano la loro maschera democratica alle masse, promuovono persone come ASSK e tentano di incanalare l’enorme energia del movimento di massa lungo percorsi sicuri. Lo abbiamo già visto accadere in Myanmar e accadrà di nuovo.

Il fatto che le linee di comunicazione tra i capi militari e i vertici della LND non siano state completamente interrotte è indice del fatto che i capi militari stanno mantenendo aperte le loro opzioni, almeno i più intelligenti e lungimiranti tra loro. Quando in futuro esploderà un nuovo movimento, per garantire la continuità del sistema, ci saranno nuove aperture per la “democrazia”, ma con la minaccia sempre presente di un nuovo intervento militare.

I marxisti devono spiegarlo pazientemente agli attivisti che hanno partecipato – e stanno lottando ancora oggi – in quello che è stato un movimento rivoluzionario ispiratore. Ma non basta essere fonte di ispirazione. Quello che serve è trovare una strategia vincente che metta finalmente fine a questo ciclo di movimenti dal basso seguiti da sconfitte.

Ciò significa che dobbiamo fare i primi passi per essere preparati e assicurarci che la prossima esplosione delle masse birmane si concluda con la vittoria. Ciò che serve è una direzione rivoluzionaria. E una tale direzione non può essere improvvisata durante un movimento di massa, ma deve essere forgiata molto prima che si svolgano gli eventi rivoluzionari. E prima che si possa formare un partito rivoluzionario di massa della classe operaia, il nostro compito è di costruire quadri d’acciaio per tale partito.

Il partito bolscevico di massa che ha portato i lavoratori al potere nella rivoluzione dell’ottobre 1917 non è stato costruito in un giorno, ma è stato preparato molti anni prima da un piccolo gruppo di rivoluzionari marxisti formati nelle idee. Il compito in Myanmar oggi è molto simile. Dobbiamo iniziare!

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