Ucraina – Il Partito comunista messo al bando dal governo ipocrita di Zelenskij

All’inizio di luglio, i tribunali ucraini hanno ordinato la chiusura del Partito Comunista di Ucraina (PCU) e il sequestro dei suoi beni. L’attacco antidemocratico fa parte di una scandalosa campagna per annientare il dissenso politico e macchiare l’immagine del “comunismo” associandolo all’imperialismo russo.

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L’invasione russa di febbraio ha dato un nuovo pretesto al regime di Zelenskij – il cosiddetto difensore dei valori democratici europei – per reprimere l’opposizione politica, con il pretesto di combattere i collaborazionisti russi.

Con questa scusa lo Stato ucraino ha già vietato l’attività di diverse organizzazioni politiche e di diversi media. Naturalmente, non è stata prodotta alcuna prova di collaborazione e alcune di queste entità si sono apertamente opposte all’invasione russa. Come abbiamo spiegato in precedenza, gli attacchi ai diritti democratici fondamentali in Ucraina sono iniziati ben prima dell’invasione.

Questo dimostra il vero carattere del regime di Kiev: lungi dall’essere un faro di democrazia, è un governo nazionalista borghese reazionario, utilizzato dell’imperialismo USA e NATO in una guerra distruttiva per procura con l’imperialismo russo.

Storia della Partito comunista ucraino

La repressione del comunismo in Ucraina è iniziata con la caduta dell’URSS. Uno dei primi atti del nuovo Stato ucraino indipendente, nell’agosto del 1991, fu quello di mettere al bando il Partito Comunista di Ucraina (PCU), accusato di aver organizzato un tentativo di rovesciare il governo.

Il parlamento ucraino (Rada) non stava seguendo la “volontà del popolo”, ma il diktat dei gangster che ora governano la Russia, dove Boris Eltsin aveva emesso un decreto per mettere al bando il Partito Comunista russo il giorno prima. Il vero atteggiamento delle masse ucraine si vide nei due anni successivi, che videro la formazione di decine di gruppi comunisti indipendenti, operanti in uno stato di illegalità ufficiale.

Alcuni di questi gruppi hanno poi ricostituito il PCU nel 1993, in occasione di un congresso a Donetsk. Il nuovo partito, in particolare la sua organizzazione giovanile, il Komsomol, ha mostrato un livello di attività politica che non si vedeva da quando la burocrazia stalinista aveva consolidato il suo potere alla fine degli anni Venti.

Il politburo della PCU si era formato alla scuola staliniana, con tutte le distorsioni che ne derivano. Tuttavia, anche rispetto ai tumultuosi anni ’80 ai tempi dell’URSS, il primo decennio dell’indipendenza ucraina è stato una catastrofe umanitaria.

Ciò ha portato a una rinnovata popolarità dell’URSS tra le masse ucraine, soprattutto quelle dell’est e del centro del Paese, meno influenzate dal nazionalismo ucraino, che era (e rimane) apertamente anticomunista e filocapitalista.

Alle elezioni parlamentari del 1998 il PCU ha ottenuto la maggioranza relativa dei voti, con il 25%. I “partiti socialisti” che pure correvano in competizione fra loro, hanno ottenuto complessivamente un altro 16,5%.

Ciò che seguì non fu una sconfitta dell’oligarchia da parte dei comunisti che si erano rafforzati, ma una manovra unitaria della borghesia ucraina per limitare la minaccia del PCU. In quel periodo, il PCU era l’unico partito importante in parlamento che si opponeva alle privatizzazioni dei beni statali e al taglio dei servizi statali, come le pensioni.

Per neutralizzare questa minaccia fu impiegata una strategia su due fronti. Oltre a una campagna di allarmismo organizzata dai media borghesi, furono offerte alleanze ai vertici del PCU, che furono accettate dai burocrati del partito desiderosi di privilegi e di una vita confortevole.

Questo ha portato, con l’eccezione degli anni immediatamente successivi alla crisi economica globale del 2009, a un continuo calo di popolarità del PCU. Al momento degli eventi di Euromaidan, in cui la petro-gerarchia ucraina con l’aiuto delle forze di estrema destra ha spodestato l’oligarca con cui il PCU era in coalizione, quest’ultimo non era in grado di offrire un’alternativa né ai movimenti pro né a quelli anti-Euromaidan.

Nelle repubbliche separatiste, dove le sezioni locali del partito hanno appoggiato i nuovi governi, sono state rapidamente messe da parte dagli elementi più vicini al nazionalismo russo.

La decomunistizzazione post-Euromaidan e l’invasione russa

La rimozione della statua di Lenin a Kiev nei primi giorni di Euromaidan e la criminalizzazione dei simboli dell’era sovietica nel 2015 sono stati un segnale di ciò che sarebbe accaduto. Quello che è seguito è stato un periodo di reazione accelerata a un livello senza precedenti, in cui la PCU è stata attaccata da tutti i lati da gruppi di estrema destra e dallo Stato ucraino.

Gli uffici del partito comunista in tutto il Paese sono stati attaccati e dati a fuoco. Gli attivisti sono stati aggrediti per strada e, naturalmente, il sistema giudiziario ucraino non ha offerto alcun sostegno alle vittime di queste aggressioni.

A ciò si è aggiunto lo smantellamento di massa dei monumenti e delle opere d’arte pubbliche dell’epoca dell’URSS, nell’ambito delle cosiddette leggi di decomunistizzazione del 2015, che hanno costretto il PCU a sciogliere ufficialmente il proprio partito e a riorganizzarsi sotto la bandiera dell'”Opposizione di sinistra”.

Nonostante la debolezza della leadership di Petro Symonenko e l’età avanzata degli attivisti del partito, questi sono riusciti a opporre una certa resistenza alle leggi di decomunistizzazione opponendosi alla rimozione delle statue. Le marce del 9 maggio in memoria della vittoria dell’URSS sul fascismo nella Seconda Guerra Mondiale hanno continuato a svolgersi in molte parti dell’Ucraina, nonostante le pressioni dello Stato e dell’estrema destra.

L’elezione di Zelenskij a scapito di Poroshenko ha inizialmente creato una minore reazione apparente da parte dello Stato, in parte dovuta alla stanchezza generale della popolazione ucraina nei confronti dell’estrema destra. Symonenko era persino tornato a fare qualche apparizione sui canali televisivi ucraini.

Tuttavia, nell’anno che ha preceduto l’invasione russa, il governo Zelensky, sotto la pressione degli elementi di estrema destra delle forze di Stato e dei suoi sostenitori imperialisti, ha puntato maggiormente sul nazionalismo ucraino e sulla repressione delle potenziali opposizioni politiche.

L’esercito russo, da parte sua, ha usato in maniera cinica i simboli dell’era sovietica in alcune occasioni, nel vuoto tentativo di migliorare le relazioni con settori ad esso favorevoli della popolazione evocando il ricordo della liberazione dal nazismo da parte dell’Armata Rossa della Seconda Guerra Mondiale .

Lungi dal riportare in vita l’URSS, l’imperialismo russo non ha portato all’Ucraina altro che la morte e la distruzione della guerra.

Symonenko non ha certo aiutato la situazione dei militanti di base allineandosi al sostegno scandaloso all’invasione di Putin del Partito Comunista della Federazione Russa (PCFR), in un’apparizione televisiva a maggio.

Questo tradimento segue una linea da parte della burocrazia del PCU, di incomprensione di cosa sia l’autentico internazionalismo e di sfiducia nella classe operaia, al punto da sostenere passivamente l’invasione di un arci-reazionario come Putin. L’attività del PCU è stata comunque ben poco visibile nell’ultimo periodo, ma questo potrebbe essere dovuto all’opposizione interna alla linea della leadership, come sta accadendo più apertamente nel PCFR.

Ma in ogni caso, dobbiamo essere chiari sulla posta in gioco. La priorità del governo Zelenskij è quella di ostacolare qualsiasi opposizione organizzata alla guerra. È ben contento di calpestare i diritti democratici della libertà di espressione e di associazione.

Inoltre, associando la PCU all’invasione russa, l’obiettivo è quello di associare il socialismo e il comunismo in generale alla Russia e agli orrori dell’attuale invasione: ora e nel futuro.

Non è un caso che si sia intensificata anche la distruzione di monumenti pubblici di nomi di strade e piazze e di opere d’arte dell’epoca dell’URSS. Poco prima della guerra, un individuo nella regione di Kherson ha ricevuto una condanna a cinque anni con la condizionale per aver pubblicato online citazioni di Lenin e Stalin.

A maggio, una donna di Odessa è stata arrestata per aver venduto spillette dell’epoca sovietica. A quanto pare, le immagini erano così “pericolose” che la polizia le ha offuscate nel rapporto delle prove!

Questi tentativi scandalosi di reprimere il socialismo e il comunismo devono essere contrastati. Esprimiamo solidarietà a tutti gli attivisti di sinistra in Ucraina sotto repressione e chiediamo la costruzione di forze rivoluzionarie e di solidarietà di classe in tutte le repubbliche dell’ex URSS.

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