Sudan – L’ultimo avvertimento

Lo scorso 17 novembre, è stato finora il giorno più sanguinoso da quando è avvenuto il colpo di stato in Sudan. Un corteo a livello nazionale è stato accolto con la più micidiale repressione mai fatta dalle forze di sicurezza. Questo massacro deve essere un ultimo monito alle masse: solo l’autodifesa armata con ogni mezzo necessario può garantire una vittoria alla Rivoluzione sudanese.

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La scorsa settimana, il leader del colpo di stato, generale Abdel Fattah al-Burhan, ha annunciato un nuovo Consiglio Sovrano, con i posti più importanti occupati da se stesso e dal generale Hemeti – Comandante delle Forze di Supporto Rapido, comandante delle milizie Janjaweed responsabili della maggior parte della repressione controrivoluzionaria.

Questo nonostante Burhan insista continuamente sul fatto che non ha lanciato un colpo di stato ma è semplicemente intervenuto per “correggere” la transizione verso la democrazia; che è impegnato a facilitare un governo civile e che non avrebbe partecipato a nessun governo di persona.

Le audaci manovre di Burhan hanno fatto infuriare le masse, che hanno reso chiara la loro posizione in una manifestazione nazionale programmata nel fine settimana: NESSUN negoziato con i golpisti, NESSUN accordo di condivisione del potere, NESSUN compromesso con i generali, ma piena transizione verso un governo civile!

Questa seconda “Marcia dei milioni” è stata interrotta da una violenta repressione, con diverse persone uccise mentre la folla è stata respinta da proiettili veri e gas lacrimogeni.

Il massacro del 17 novembre

In risposta a questo oltraggio e al rifiuto della giunta di ripristinare la copertura Internet, nonostante una sentenza del tribunale secondo la legislazione sudanese lo richiedesse, i Comitati di resistenza e l’Associazione dei professionisti sudanesi (in sigla SPA, in realtà un coordinamento di 17 diversi sindacati, tra cui quelli dei medici, degli insegnanti e dei giornalisti, ndt) hanno indetto una terza manifestazione a livello nazionale il 17 novembre.

Questa data è significativa, poiché originariamente era prevista per il trasferimento del controllo del precedente Consiglio Sovrano dall’esercito al governo civile, prima che Burhan mettesse in atto il colpo di stato il 25 ottobre e lo sciogliesse.

Nonostante abbiano dovuto subire quasi un mese di continua repressione: sotto forma di pestaggi, proiettili, arresti arbitrari e un blackout quasi totale delle comunicazioni, le masse attraverso i loro comitati di resistenza hanno organizzato ancora un’altra massiccia protesta nazionale.

Le cifre e i filmati sono naturalmente incompleti ma sono state coinvolte almeno 16 città e cittadine e centinaia di migliaia di persone sono scese in strada.

Ma questa volta, i militari e la polizia non hanno perso tempo. Hanno bloccato non solo internet ma anche le linee telefoniche, isolando le masse e dispiegando truppe direttamente nei concentramenti previsti per le marce.

La folla è stata accolta da un assalto delle forze di sicurezza, con la maggior parte delle violenze peggiori concentrate a Khartoum.

La città gemella Bahri a nord, dove il Comitato di Resistenza locale è stato particolarmente attivo, è stata scelta per una repressione particolarmente spietata. L’elettricità è stata tagliata ai quartieri, che sono stati circondati dalle truppe, che hanno sparato gas lacrimogeni nelle strade, intrappolando le persone nelle loro case mentre davano la caccia a chi era rimasto indietro, isolato.

Ci sono anche resoconti secondo cui le forze di sicurezza hanno sparato candelotti di gas lacrimogeni negli ospedali, che sono stati rapidamente sommersi dalle vittime.

Almeno 15 manifestanti sono stati uccisi, portando il numero totale dei morti a 39. La vittima più anziana aveva 70 anni. Uno era un negoziante di Shambat, che non era coinvolto nelle proteste. Le forze di sicurezza sono entrate nel suo negozio e gli hanno detto di fare uscire le persone che si nascondevano all’interno; quando ha detto che non c’era nessuno con lui gli hanno sparato.

Altre centinaia sono state ferite, con un numero significativo delle vittime che hanno riempito gli ospedali con ferite da arma da fuoco alla testa e al torace: il che suggerisce che le truppe controrivoluzionarie hanno ricevuto ordini di sparare per uccidere.

È molto probabile che il bilancio delle vittime sia molto più alto, poiché molte persone sono rimaste in condizioni critiche e la mancanza di comunicazioni rende impossibile ottenere una stima accurata.

In una dichiarazione che sarebbe ridicola se le circostanze fossero meno tragiche, la giunta (che ancora nega l’uso della violenza contro i manifestanti) ha lamentato che 30 agenti di polizia avevano sofferto di asfissia da gas lacrimogeni!

Con ogni mezzo necessario!

Le masse si sono svegliate questa mattina in uno stato di shock e indignazione. Nel momento in cui scriviamo, le forze di sicurezza non hanno ancora cessato la loro repressione ma continuano a pattugliare e molestare i passanti a caso a Khartoum e Bahri. Hanno anche lanciato una campagna di arresti contro membri di spicco dei comitati di resistenza.

A detta di tutti, queste atrocità da parte dei golpisti stanno solo motivando ulteriormente le masse a continuare la loro protesta e i comitati di resistenza hanno continuato a ereggere barricate nelle strade dei loro quartieri per ostacolare i militari.

La SPA ha condannato la violenza e ha affermato la sua posizione, indisponibile a nessun negoziati, compromessi o alla condivisione del potere con i militari, mentre molti comitati di resistenza chiedono una giornata di disobbedienza civile. Gran parte del paese rimane chiuso per scioperi.

Il blackout rende difficile valutare la situazione ma sulla base dei commenti che escono dai social media sembra che almeno una parte delle masse in campo si senta frustrata per aver ripetutamente affrontato una controrivoluzione armata con metodi solo “pacifici”.

Come abbiamo detto tante volte: l’unico modo per conquistare la vittoria è che le masse organizzino comitati di difesa e affrontino la controrivoluzione con le armi in pugno. In definitiva, ciò richiederà la fraternizzazione con elementi simpatizzanti delle forze armate ma a breve termine le masse devono prepararsi a combattere con ogni mezzo possibile.

Come scrisse Lenin a proposito degli operai e dei contadini che organizzavano l’autodifesa rivoluzionaria contro i Centoneri fascisti nella Rivoluzione del 1905:

Devono armarsi al meglio di come possono (fucili, rivoltelle, bombe, coltelli, tirapugni, bastoni, stracci imbevuti di cherosene per accendere fuochi, funi o scale di corda, pale per costruire barricate, cartucce di pirossilina, filo spinato, chiodi [ contro la cavalleria], ecc., ecc.). In nessun caso devono aspettare aiuto da altre fonti, dall’alto, dall’esterno; devono procurarsi tutto da soli”.

In alcuni casi, le masse in Sudan hanno resistito alla polizia e alle forze di sicurezza e a mani nude, usando nient’altro che pietre.

Le masse sono meno armate ma i militari sono in inferiorità numerica: se sono organizzate e pronte a combattere, possono fermare sul nascere la controrivoluzione pesantemente armata.

Fino a quando una parte dei soldati non sarà conquistata alla rivoluzione, dovranno farcela da sole e resistere. Quello che non devono fare è continuare la politica suicida sostenuta dalla SPA e dai leader dei Comitati di Resistenza di manifestare indifesi nel mirino delle forze di sicurezza.

Nessuna trattativa! Nessun compromesso! Nessuna collaborazione!

Il rinnovato appello della SPA e dei Comitati di Resistenza alla disobbedienza civile pacifica deve essere ferocemente contrastato dal basso. Questi metodi sono proprio ciò che alimenta la fiducia nelle forze della controrivoluzione e conduce a uno spargimento di sangue sempre maggiore.

I leader della rivoluzione devono permettere alle masse di passare al contrattacco, organizzarsi per farlo e lanciare un appello generale a tutti gli elementi indecisi delle forze armate affinché si ammutinino e si uniscano ai fratelli e alle sorelle di classe. Se i leader rivoluzionari non sono disposti a prendere queste misure, devono farsi da parte per coloro che sono intenzionati a farlo.

Alcuni, in particolare elementi piccolo-borghesi della comunità degli espatriati sudanesi, chiedono alle Nazioni Unite di inviare una forza di pace per rafforzare il governo civile. Dobbiamo dire che questa è un’idea fallimentare.

Basta guardare ad Haiti o all’Uganda o qualunque altro posto dove le Nazioni Unite sono intervenute in nome della “pace” e della “democrazia” per vedere con quanto successo questi nobili ideali sono sostenuti dagli organi dell’imperialismo.

Inoltre Volker Perthes, il rappresentante speciale delle Nazioni Unite responsabile per il Sudan, ha negoziato dietro le quinte sia con Burhan sia con Hemeti per il ritorno a una condivisione militare-civile del potere. Lungi dal desiderare un governo civile, le Nazioni Unite vogliono mantenere questi macellai al potere!

Ciò che l’ONU, un organismo controllato dalle nazioni imperialiste, teme di più è un rovesciamento rivoluzionario della giunta sudanese, che potrebbe innescare un effetto domino di rivoluzioni in tutta la regione, in paesi dove le masse condividono condizioni simili a quelle del Sudan. I loro tentativi di organizzare un accordo negoziato servono solo a gettare polvere negli occhi delle masse e a seminare l’illusione che in qualche modo gli interessi della rivoluzione e della controrivoluzione possano essere riconciliati.

Ma sia le masse rivoluzionarie sia i militari capiscono che tale accordo è impossibile. Nessuno dei due può o vorrà tollerare l’altro al potere, a qualsiasi titolo. Non ci può essere riconciliazione tra la rivoluzione e la controrivoluzione: può esserci solo la vittoria totale dell’una o dell’altra.

Citiamo Trotskij nel suo avvertimento alle forze rivoluzionarie in Spagna, mentre nel mezzo del conflitto con la Falange fascista di Franco:

Le rivoluzioni [sono] le locomotive della storia… Chi si ferma cade sotto le ruote della locomotiva, che d’altronde spesso finisce per deragliare; e questo è il pericolo maggiore”.

“Il problema della rivoluzione deve essere compreso sino in fondo, sino alle ultime conseguenze concrete. Bisogna conformare la politica alle leggi fondamentali della rivoluzione, cioè al movimento delle classi in lotta… La linea della minor resistenza si rivela, nella rivoluzione, la linea del peggior fallimento.” (La lezione della Spagna)

La rivoluzione sudanese ha mostrato un potere e una resilienza enormi. Se fosse solo una questione di coraggio, le masse avrebbero già vinto dieci volte. E possono ancora vincere.

Ma la rivoluzione è una questione di realtà pratica. Il fatto è che le masse sudanesi saranno semplicemente schiacciate dalla spietata controrivoluzione se non saranno preparate a impadronirsi di tutte le armi a loro disposizione e ad avanzare.

Nella loro controffensiva, non possono contare su nessuna forza se non sulle loro. Le lacrime di coccodrillo e le vuote banalità della cosiddetta comunità internazionale e dei luoghi di discussione parolaie imperialisti come le Nazioni Unite non salveranno il Sudan dalla dittatura. Solo la lotta di classe indipendente delle masse può raggiungere questo obiettivo.

Le masse devono essere preparate a resistere a tutti i tentativi di raggiungere un compromesso con il vecchio regime di Bashir. Queste bestie controrivoluzionarie devono essere distrutte e le loro ricchezze devono essere sequestrate dal popolo per ricostruire il paese sulla base di un’autentica democrazia operaia, sotto l’autorità di un governo operaio e contadino.

Le riserve della rivoluzione sono profonde ma non sono infinite e non devono essere sprecate in un inutile pacifismo. Farlo sarebbe un insulto ai martiri che sono già caduti. Burhan e i generali devono essere trattati con la stessa misericordia con cui si sono comportati con il popolo!

Armare le masse! Sconfiggere il colpo di stato! Vittoria alla rivoluzione sudanese!

18 novembre 2021