Referendum 5 luglio - La Troika vuole la testa di Tsipras

Con l'avvicinarsi del referendum, la polarizzazione politica sta raggiungendo livelli mai visti prima in Grecia. Gli eventi delle ultime 48 hanno rivelato l'impostura della democrazia borghese; la Troika non è disposta ad accettare alcuna concessione suggerita dal governo greco, e chiede a gran voce la rimozione di Tsipras.

La conclusione è inevitabile: non c'è fine all'austerità entro i limiti del capitalismo, men che meno all'interno della camicia di forza dell'eurozona capitalista dominata dalla Germania.

Lunedì scorso, 29 giugno, una enorme manifestazione per l'OXI (no) ha aperto la campagna referendaria. L'ambente fra i partecipanti – che per numero e composizione ricordavano chi ha animato le proteste di Piazza Syntagma nel 2011 – era adirato ed allo stesso tempo fiducioso.

Questa imponente manifestazione si contrappone alla litania di dichiarazioni minacciose, azioni punitive e tentativi di esercitare pressione da parte della Troika. Dall'espulsione dall'Eurogruppo di Varoufakis alla riduzione del contributo di liquidità alle banche elleniche, tutti gli stratagemmi escogitati dai vari  Merkel, Schulz, Juncker, Schäuble hanno lo scopo – intrinsecamente politico e non amministrativo – di diffondere paura ed incertezza in Grecia. Una campagna di terrorismo psicologico.

Tuttavia, alla forza resistente di Piazza Syntagma sono seguite due giornate di dichiarazioni e mosse contraddittorie da parte del governo greco; che dopo i vari rigetti delle proprie proposte operati dalla Troika, ha deciso di presentare un terzo piano di salvataggio da 29 miliardi di euro al Meccanismo Europeo di Stabilità (EMS). Ma la giornata di martedì 30 è terminata senza che ci fosse alcuno sviluppo nei negoziati e con la conclusione del programma di salvataggio in atto. Durante la notte Tsipras ha spedito una lettera alla Troika, rivelata dal Financial Times la mattina del 1 luglio.

I contenuti della lettera? Fondamentalmente, l'accettazione delle proposte della Troika del 28 giugno (rifiutate qualche giorno prima dal governo greco), condite da alcuni emendamenti e chiarificazioni; principalmente riguardanti i tempi di implementazione delle misure e la richiesta del mantenimento dei tagli all'IVA per le isole. La lettera inoltre collega l'accettazione delle proposte ad una estensione temporanea del secondo piano di salvataggio e la richiesta di un terzo. Il governo, quindi, era disposto ad accettare quasi tutte le richieste della Troika se quest'ultima fosse stata pronta a discutere l'alleggerimento del debito.

Questa è un passo indietro importante e deludente nella linea politica di Tsipras. Venerdì, quando il governo ha annunciato il referendum, Tsipras ha spiegato come la differenza tra la sua proposta del 22 giugno (che di per sé faceva concessioni alla Troika) e l'ultimatum di quest'ultima consistesse nella volontà della Troika di far pesare tutte le misure di austerità alle classi più deboli. Ma nella lettera del 30 giugno abbandona completamente questa posizione, accettando sgravi fiscali per i ricchi e pianificando la chiusura di settori dello stato sociale. Dopotutto, la Troika aveva sottolineato come l'unico modo per poter ritrattare il debito consistesse nel cancellare il referendum o nella propaganda per il Sì da parte del governo greco; questo ha fatto credere molti che il governo potesse cambiare posizione.

Ma ci ha pensato il governo tedesco a distruggere qualsiasi speranza di un accordo, definendo il presente governo greco “inaffidabile” e bloccando qualsiasi incontro fino al voto di domenica. È una situazione scandalosa perfino dal punto di vista della democrazia formale borghese. Certo, teoricamente il popolo greco ha diritto di eleggere il proprio governo, e la Grecia dovrebbe essere uno stato sovrano. Ma qui, abbiamo invece i capitalisti tedeschi che dicono ai greci: “Non ci piace il vostro governo; non ha fatto nulla per soddisfare le nostre richieste e quindi deve essere rimosso”. Questa la vera essenza della “democrazia” borghese, che ora si rivela davanti agli occhi di milioni.

E non sono stati solamente i Democratici Cristiani di destra della Merkel ad attaccare Tsipras e Syriza. I loro amici “socialdemocratici” si sono uniti al coro, come sempre, per affermare la loro fedeltà agli interessi dei banchieri e capitalisti tedeschi, ed accusando la Grecia di corruzione. È un linguaggio da guerra, non da compromesso.

Gli eventi non hanno fatto altro che confermare la posizione che la Tendenza Comunista di Syriza sostiene da sempre: non esiste la possibiltà un accordo onorevole con la Troika. O, per metterla in altro modo, non è possibile rispettare il mandato popolare delle elezioni del 25 gennaio di mettere fine all'austerità all'interno dei limiti intrinseci ad una Grecia capitalista indebolita dalla crisi. Esiste una contraddizione fondamentale tra il capitalismo e quello che il popolo greco desidera dopo 4 anni di tagli brutali e crolli nei livelli di qualità della vita.

Tuttavia, proprio l'idea di un accordo possibile con la Troika (e di un accordo socialmente vantaggioso per il popolo greco) è stata la base della strategia del gruppo dirigente di Syriza. E lo è ancora; ne sono prova le indecisioni di Tsipras e del suo governo. Non hanno un piano B. Vogliono rimanere nell'Unione Europea, ma senza austerità. Un'idea che l'esperienza degli ultimi cinque mesi avrebbe dovuto classificare come impossibile.

In risposta al rifiuto tedesco perfino di analizzare la sua ultima proposta, Tsipras ha tenuto un discorso televisivo riaffermando la necessità del referendum e facendo campagna per il “no”, denunciando il ricatto della Troika. Ma è rimasto ancora legato all'idea dell'accordo sostenendo che l'utilità del referendum e della eventuale vittoria del “No” risieda nella possibilità di ottenere accordi migliori al tavolo dei negoziati. Questa analisi non ha basi reali. Tutta la catena di eventi dipanatasi nelle ultime due settimane renderà sempre più difficile il raggiungimento di un accordo.

Lo scopo della classe dominante ora, in Europa e Grecia, è chiaro: rimuovere Tsipras dall'incarico, dato che non sono riusciti a fargli firmare una resa umiliante. E questo scopo va raggiunto con ogni mezzo possible. Ad esempio, l'utilizzo da parte della classe dirigente dei media, con una campagna terroristica che ricicla fotografie di terremoti e catastrofi passate per rappresentare la realtà attuale demonizzando l'operato del governo. O la semplice copertura: le manifestazioni per il NO hanno ricevuto in media una copertura giornaliera sui principali canali di 8 minuti, mentre quelle per il sì 47 minuti.

La classe dominante sta anche esercitando pressioni sulla destra di Syriza, ovviamente, nonché sul partito populista di destra dei Greci Indipendenti (ANEL), alleato di governo di Tsipras. Non si può escludere che questa formazione possa decidere di spezzare la coalizione di governo, e mentre questo articolo veniva completato, quattro parlamentari di ANEL hanno annunciato di essersi uniti al campo del “Sì”. Anche la posizione del presidente della repubblica, l'esponente di destra Pavlopoulos (nominato da Syriza per guadagnare la fiducia dei “partners” europei), potrebbe essere usata dalla classe dominante nei suoi sotterfugi.

Addirittura, molti datori di lavoro stanno esercitando presioni sui loro lavoratori affinché questi ultimi votino sì, minacciando di trattenere le paghe ed obbligandoli a partecipare a manifestazioni per il “Sì” ed a votare in questo modo. A questo si aggiungono accuse di vizi di forma nella convocazione della votazione e tentativi politici ed internazionali di delegittimazione – tutte mosse il cui significato fondamentale sta nell'affermare che il popolo sia in ultima analisi ignorante e non dovrebbe essergli concesso diritto di voto. La questione, si dice, è troppo complicata per essere lasciata al voto.

Davanti a questa massiccia campagna nazionale ed internazionale a favore del “Sì”, è fondamentale che il campo dei sostenitori del “No” non vacilli. Il popolo è pronto a portare avanti la lotta, ma è fondamentale che i generali non sembrino in preda all'indecisione e non facciano concessioni all'ultimo minuto per evitare di scendere in campo.

L'idea stessa che votare “No” porti automaticamente ad un accordo migliore, idea sostenuta da Varoufakis, è molto pericolosa in queste condizioni. Molti capiscono che non sarà così. La campagna del no deve fornire chiare risposte politiche alle tesi terroristiche della classe dominante. Deve essere basata sull'organizzazione dal basso popolare per poter combattere le menzogne dei mass media. Deve rispondere alle intimidazioni sui posti di lavoro mediante l'organizzazione e l'azione collettiva.

Da parte sua, il governo deve impedire che vengano portate a compimento le minaccie di sabotaggio delle scorte di cibo e medicine intervenendo direttamente nella distribuzione e nel commercio, affidando il controllo a consumatori e lavoratori. Deve anche nazionalizzare le banche come unica misura efficace per difendere i risparmi dei lavoratori e dei pensionati.

La campagna può essere vinta solo con metodi rivoluzionari, basandola su comitati per il “no” in ogni posto di lavoro ed in ogni quartiere.

In questo contesto, bisogna anche rivolgere una campagna seria verso il KKE affinché abbandoni la propria posizione settaria e criminale di votare scheda nulla. È una battaglia cruciale quella del referendum e non possiamo permetterci di perdere nemmeno un voto. Non bisogna chiedere al KKE di sospendere le critiche sulla strategia governativa e le concessioni alla Troika: ma davanti alla domanda molto chiara del referendum non c'è ambiguità possibile.

Per finire, è necessario che il movimento operaio internazionale sia coinvolto in questa battaglia. Battaglia che non riguarda solo il futuro della Grecia; i risultati del referendum avranno implicazioni per la lotta contro l'austerità e la crisi capitalista in tutto il continente.

E questa battaglia non può essere combattuta efficacemente sulla base dell'idea di un nuovo, migliore, “socialmente giusto” accordo con la Troika. Con pazienza e determinazione, dobbiamo spiegare che l'unico modo di combattere l'austerità è rompere col capitalismo.

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