Pakistan: il governo copre il crimine – le masse vogliono agire contro i cospiratori Italian Share Tweet Italian translation of Pakistan: Government covers up the crime - masses demand action against conspirators (December 30, 2007) L’assassinio di Benazir Bhutto ha generato un’esplosione di rabbia popolare. Il Pakistan è in preda a rivolte ed a proteste di massa. La società è stata scossa fino alle fondamenta. Le strade di ogni città e villaggio hanno assistito allo straripare di emozioni umane nel loro stato più elementare. L’esercito e la polizia sono impotenti e non riescono a fermare la marea di indignazione. Il governo è scosso in profondità. Secondo la versione ufficiale dietro l’assassinio c’è Al-Qaeda. Questa spiegazione è conveniente per molte ragioni; spiega tutto e niente, dato che nessuno sa chi, cosa o dove sia Al-Qaeda. È un’organizzazione misteriosa, apparentemente onnipotente, onnipresente, ma che non può essere né identificata né deviata dai suoi obiettivi. Poiché è invisibile e invincibile, non è strano che nessuno venga mai arrestato, processato o punito per i suoi crimini. È una spiegazione assai conveniente per Musharraf e per le autorità di Islamabad, poiché le assolve completamente da qualsiasi responsabilità per l’assassinio di Benazir Bhutto. Non sono tenuti a cercare gli assassini, perché sono già stati trovati. Non è necessario investigare sul crimine, perché i suoi autori sono già stati identificati. Al-Qaeda! È sufficiente la parola per risolvere ogni problema! Anche per Washington questa è una spiegazione del tutto soddisfacente. Corre in soccorso di un George Bush ormai assediato e della sua tristemente nota guerra al terrorismo. Si può ripetere a un pubblico americano ormai scettico la vecchia favola di una Al-Qaeda forza del male universale, votata al dominio del mondo. Al-Qaeda! È tutta opera sua! Ma via via che la nebbia della propaganda comincia a diradarsi, diventa sempre più evidente come l’assassinio di Benazir Bhutto non sia l’atto di fanatici religiosi squilibrati, ma sia parte di una cospirazione accuratamente preparata, e che i fili di questa cospirazione portano in alto, nelle sfere dirigenti dello Stato pakistano e dell’élite dominante. La condotta delle autorità pakistane prima, durante e dopo l’assassinio costituisce un dito accusatore puntato verso i centri del potere di Islamabad. Dopo il primo attentato alla sua vita il 19 ottobre, Benazir Bhutto aveva scritto ripetutamente a Musharraf esigendo un’indagine che mettesse a nudo i responsabili della morte di 140 persone innocenti. Nessuna indagine è stata compiuta e nessuno è stato processato o punito per questo assassinio di massa. Benazir Bhutto aveva anche più volte richiesto maggiore sicurezza, che non è mai stata concessa nonostante la minaccia alla sua vita fosse ben nota. Al momento dell’assassinio attorno alla sua auto non c’erano poliziotti in vista. Gli assassini hanno avuto strada libera. Ma quali assassini? Secondo il governo, non c’è un assassino perché non c’è stato alcun omicidio. La signora Bhutto è morta per un INCIDENTE. È caduta e ha sbattuto la testa: questa è stata la spiegazione fornita dal governo pakistano a una nazione stupefatta. Come ha detto giustamente la portavoce del Ppp Sherry Rehman, è stato un insulto a una nazione in lutto. Il fatto che ci fossero dei testimoni dell’avvenimento non ha alcuna rilevanza per la versione fornita dalle autorità. Il fatto che molte persone abbiano visto avvicinarsi alla sua macchina un uomo dopo il comizio a Liaquat Bagh, e lo abbiano visto sparare dei colpi che le hanno perforato il cranio, e poi abbiano visto l’attentatore suicida farsi esplodere uccidendo 30 persone e ferendone molte altre, è irrilevante. BENAZIR HA SEMPLICEMENTE SBATTUTO LA TESTA. Ma se fosse davvero così, non avremmo un’intera nazione in stato di shock, non sarebbe necessario alcun lutto, alcun pianto, né tantomeno alcuna protesta. È stato solo un incidente sfortunato, e per un incidente non si incolpa nessuno. Sherry Rehemen, della direzione nazionale del Ppp, era con Benazir quando è stata uccisa. L’ha vista colpita dal colpo di postola, l’ha accompagnata all’ospedale; ha visto la ferita alla testa e ha anche visto il foro di uscita. Ma come ha potuto vedere queste cose inesistenti? Deve essersele immaginate, così come le ha immaginate l’intera nazione. No, non c’era nulla di sospetto nella sua morte. Come lo sappiamo? Lo sappiamo perché dopo tutte le morti sospette si compie un’autopsia. Ma qui non c’è stata alcuna autopsia. Le autorità hanno rapidamente fornito il verdetto della MORTE ACCIDENTALE (procurata da Al-Qaeda) e il cadavere è stato rapidamente preparato per la sepoltura. Ora non c’è più un corpo da esaminare, pertanto tutte le richieste di autopsia sono irrilevanti e la morte può continuare a essere classificata come normale. Normale, proprio come il fatto che il governo di Islamabad non abbia investigato sul primo tentativo di omicidio. Altrettanto normale è anche il fatto che non hanno alcuna intenzione di indagare su questo assassinio. E altrettanto normale il fatto che siano complici di entrambi. Musharraf ha dichiarato di essere determinato a trovare i colpevoli e a punirli. Si dice persino che ci siano dei sospetti. Cos’altro potrebbe dire quando il popolo pakistano scende nelle strade dando sfogo alla sua rabbia e gridando slogan contro Musharraf e il suo regime. Possiamo attendere fiduciosi che presto verranno presentati dei sospettati, che verranno definiti agenti locali di Al-Qaeda. In paesi come il Pakistan non mancano relitti miserandi disposti a uccidere un uomo o una donna per poche centinaia di rupie, o fanatici ansiosi di farsi saltare in aria per conquistare il biglietto d’ingresso del paradiso. Possono essere tranquillamente esibiti in pubblico e incolpati di questo come di qualsiasi altro crimine. Ma questi elementi non svolgono alcun ruolo indipendente. Sono solo marionette che ballano appese a un filo il cui capo è saldamente tenuto da altre mani. Di questi tempi il fondamentalismo islamico si presenta come un movimento antiamericano e antimperialista, ma originariamente fu inventato dall’imperialismo Usa, costruito per combattere il comunismo e attaccare i russi in Afghanistan. Lo stesso Bin Laden era un agente della Cia, la quale sostiene la cricca dominante corrotta dell’Arabia Saudita. Washington ha creato un cane rabbioso che si è rivoltato contro il padrone mordendogli la mano. Fu l’imperialismo Usa a creare la dittatura di Zia in Pakistan. Fu la Cia a contribuire all’impiccagione di Zulfiqar Ali Buttho. Zia foraggiò i fondamentalisti pakistani, usando denaro americano e saudita. Essi stessi crearono l’esercito di fanatici che sono ora scatenati. L’idea che il Pakistan sia un paese di fanatici religiosi è una calunnia contro il popolo di questa grande nazione. I partiti fondamentalisti hanno sempre ottenuto dei risultati assai modesti nelle elezioni. La loro vera base d’appoggio non si trovava nelle masse, ma nelle alte sfere del potere: lo Stato, l’esercito, l’Isi (i servizi segreti – Ndt). Senza il sostegno e i finanziamenti dello Stato, i fondamentalisti non sarebbero nulla. In passato ottenevano lauti aiuti finanziari dagli americani e dai sauditi. Continuano a riceverne dai sauditi, i quali riescono a combinare la sottomissione all’imperialismo Usa con il sostegno a ogni movimento fondamentalista reazionario. Tuttavia i loro vecchi finanziatori di Washington si sono rivoltati contro di loro. l’imperialismo Usa è stato costretto dai propri interessi a occupare l’Afghanistan, costringendo l’Isi ad abbandonare le sue ambizioni in Afghanistan e ad abbandonare il suo sostegno ai talebani e ad Al-Qaeda, cosa che ha fatto a malincuore. In realtà è ben noto il fatto che un settore significativo dell’Isi non ha mai cessato il suo sostegno a Bin Laden e ai talebani. È un segreto di pulcinella che questi abbiano trovato in Pakistan rifugio e protezione. C’è uno Stato nello Stato che opera nell’oscurità e che gode di protezioni ai massimi livelli. In questa zona d’ombra le cospirazioni, i complotti e gli assassini sono la normalità quotidiana. Gli attori di queste cospirazioni sono i mullah, i fanatici delle madrase finanziate dai sauditi e i rampolli viziati dei ricchi di Islamabad che sotto la copertura della tonaca terrorizzano i comuni cittadini. Ma questi non sono che i fantocci nelle mani di altri, che non amano la pubblicità, ma le cui identità sono ben note. Prima di morire Benazir ha lasciato una nota privata nella quale citava tre individui che accusava di avere organizzato il primo attentato alla sua vita: un ufficiale in pensione, un dirigente della Lega musulmana, ex ministro nel Sindh, e un ufficiale dell’Isi tuttora in servizio. Nessuna indagine governativa sul suo assassinio può essere presa sul serio fino a quando questi tre uomini non vengano arrestati e processati. Le masse che sfogano la loro rabbia nelle strade non si faranno prendere in giro da un processo farsa che mostri qualche poveraccio incolpato per quello che è chiaramente stato un caso di terrorismo di Stato. Per dare un’espressione organizzata alla movimento di protesta spontanea delle masse, i marxisti pakistani hanno avanzato la parola d’ordine di uno sciopero nazionale. Ma questo si è dimostrato impossibile da applicarsi nelle condizioni concrete. L’ampiezza del movimento, che ha coinvolto milioni di persone disorganizzate e politicamente inesperte in uno stato psicologico di dolore e disperazione ha travolto l’avanguardia proletaria. In queste condizioni, poche migliaia di quadri rivoluzionari sono come una goccia nell’oceano. Inoltre il governo si è mosso rapidamente per scacciare la minaccia di uno sciopero generale convocando tre giorni di lutto nazionale. I compagni si sono trovati a lavorare in condizioni difficili: era quasi impossibile muoversi, non ci sono treni, autobus o aeroplani; non c’è carburante e i distributori sono chiusi. Le strade sono bloccate da barricate in fiamme; le stazioni ferroviarie e gli autobus sono stati messi a fuoco; la violenza nelle strade ha fornito la scusa allo Stato per inviare l’esercito con l’ordine di sparare ad altezza d’uomo. Le vittime sono almeno quaranta. La protesta spontanea di massa pertanto non ha avuto né direzione, né alcun obiettivo cosciente ed è presto degenerata nel caos, negli incendi e nei saccheggi. Nell’atmosfera prevalente di disintegrazione sociale, di povertà e disperazione, gli elementi declassati, sottoproletari e criminali si sono avvantaggiati del caos per i propri fini. È probabile che queste attività criminali siano state incoraggiate dai reazionari per screditare il movimento e giustificare la repressione e l’imposizione dello stato d’emergenza. Non a caso in alcune delle sommosse sono stati attaccati i seggi elettorali e bruciati i registri. L’odierna protesta anarchica e disorganizzata non otterrà nulla. Deve essere sostituita da un movimento nazionale e organizzato nel quale la classe operaia prenda la guida. Anziché bruciare pneumatici e automobili è necessario riorganizzare l’avanguardia proletaria il più rapidamente possibile e prepararsi per un movimento rivoluzionario su scala nazionale, proponendo con tempestività parole d’ordine che siano in accordo con lo stato d’animo e le aspirazioni delle masse. Per prepararsi, in ogni luogo di lavoro si devono organizzare dei comitati d’azione. I marxisti pakistani hanno fatto un primo passo organizzando un comitato di questo tipo nelle acciaierie di Karachi. Stanno anche organizzando dei comitati d’azione fra i giovani. Ecco ciò che serve ora! Questo esempio dovrebbe essere replicato in ogni fabbrica, luogo di lavoro, scuola e università del Pakistan. I marxisti di The Struggle sono in prima linea nel movimento di protesta. Il compagno Manzoor Ahmed, parlamentare marxista, ha guidato una manifestazione di migliaia di persone nel suo collegio del Kasur, nel Punjab. In ogni regione stanno prendendo l’iniziativa. Hanno stampato centomila volantini con il titolo “Il sangue di Benazir è il vostro sangue: ora deve arrivare la rivoluzione!” Esigono la punizione di tutti gli autori della cospirazione, le dimissioni di Musharraf, l’immediata convocazione delle elezioni, e che il Ppp ritorni al suo programma socialista del 1970. Oggi (domenica 30 dicembre) termineranno i tre giorni di lutto nazionale e le condizioni per il lavoro di massa organizzato si faranno più facili. I marxisti pakistani compiendo il loro dovere rivoluzionario. I loro slogan trovano eco nelle fabbriche, nella gioventù rivoluzionaria e fra gli elementi più avanzati del Ppp, persino a livello dirigente. Il Pakistan sta rapidamente entrando in una situazione prerivoluzionaria. Le masse stanno imboccando la via della rivoluzione, ma devono fronteggiare ostacoli e pericoli enormi. È imperativo che ricevano il pieno appoggio del movimento operaio internazionale. A nome dei compagni di The Struggle, chiedo a tutti i lettori di In Defence of Marxism, a tutti i lavoratori, gli studenti, i socialisti, i comunisti, i militanti sindacali, di raccogliersi a loro sostegno. Abbiamo bisogno del vostro appoggio finanziario per costruire il movimento rivoluzionario in Pakistan, la chiave della rivoluzione asiatica! Vi preghiamo di rispondere prontamente!