Le conseguenze del fallito tentativo di Israele di schiacciare Gaza Share TweetTacciono le armi a Gaza, per ora. Dopo quindici mesi, un accordo di cessate il fuoco ha posto fine all’uccisione genocida, che non ha conosciuto sosta, di decine di migliaia di palestinesi e alla distruzione quasi totale dell’enclave palestinese da parte dello Stato di Israele.[Source]La prima cosa da notare è questa: i palestinesi non si sono piegati o arresi anche se sono rimasti a Gaza, praticamente indifesi, sotto l’assalto incessante di una delle macchine militari più letali del mondo. Israele, invece, con i suoi jet, bombardieri, missili, carri armati, droni e il sostegno dell’esercito statunitense e di altri eserciti occidentali, non è riuscito a realizzare nessuno dei suoi obiettivi bellici dichiarati. Quindi, parafrasando le parole di Henry Kissinger, hanno perso la guerra perché non l’hanno vinta. Ciò comporta conseguenze importanti che devono essere analizzate.Innanzitutto, il cessate il fuoco provocherà senza dubbio un grande sollievo tra i palestinesi e i milioni di lavoratori e giovani che si sono schierati in solidarietà con loro. Allo stesso modo, molti israeliani festeggeranno la fine delle ostilità e dell’instabilità che esse comportano, insieme al ritorno degli ostaggi. Tuttavia, tale sensazione di sollievo non impedirà di porsi una domanda critica: a cosa è servito tutto ciò? E, inoltre, avvicina la fine della decennale oppressione dei palestinesi?DistruzioneDopo aver trascorso 15 mesi a sostenere, finanziare e armare la macchina da guerra israeliana, Joe Biden e altri leader europei si sono subito congratulati e hanno cinicamente esultato per le prospettive di pace. Ma quale pace è esattamente quella che questi personaggi hanno contribuito a preparare per i palestinesi?Dopo un anno di bombardamenti incessanti, le dimensioni della distruzione a Gaza è a dir poco catastrofica. Il bilancio ufficiale è di oltre 46mila morti, di cui 13mila bambini. Tuttavia, queste cifre sono sottostimate rispetto alla reale portata della carneficina. Uno studio pubblicato su The Lancet, un’autorevole rivista medica, stima che, fino a ottobre 2024, il vero bilancio delle vittime dirette e indirette supererà probabilmente le 70mila unità e, come ci informa The Lancet, potrebbe plausibilmente superare le 186mila unità.Oltre alle perdite dirette di vite umane, la guerra ha inferto profonde ferite al tessuto sociale di Gaza. Oltre il 90% della popolazione, un numero sconcertante 1,9 milioni di persone, è stato cacciato dalle proprie case. Le strutture sanitarie sono state ripetutamente prese di mira, con oltre 650 attacchi documentati, che hanno causato la morte di più di mille operatori sanitari. Il sistema educativo è in rovina: il 95% di tutte le scuole e tutte le università sono state danneggiate o distrutte, lasciando 660mila bambini senza accesso all’istruzione.Secondo le Nazioni Unite, a gennaio il 96% dei bambini sotto i due anni non riceveva l’alimentazione necessaria. In totale, 345mila gaawi si sono trovati di fronte a carenze alimentari catastrofiche e 876mila di loro a livelli di emergenza rispetto all’insicurezza alimentare.Un recente programma della BBC ha dipinto un quadro straziante della vita quotidiana a Gaza, dove le famiglie rovistano tra i cumuli di rifiuti alla ricerca di scarti da vendere per procurarsi del cibo e i bambini sono costretti a fare i bisogni all’aperto, vulnerabili agli attacchi dei cani randagi.L’impatto complessivo della guerra va ben oltre la morte fisica. La malnutrizione diffusa, il collasso dei sistemi igienici e il trauma psicologico inflitto alla popolazione avranno conseguenze durature per le generazioni a venire.L’accordoSeguendo il filo conduttore che attraversa questo conflitto, l’accordo di cessate il fuoco stesso, e il modo in cui è stato raggiunto, illustra il cinismo a sangue freddo dell’imperialismo israeliano e dei suoi sostenitori in Occidente.L’accordo delinea un processo in tre fasi volto ad affrontare le questioni chiave e a ripristinare la stabilità. La prima fase è incentrata sullo scambio di prigionieri, con il rilascio di 33 prigionieri israeliani in cambio di circa 1.700 palestinesi. Tra coloro che saranno liberati ci sono oltre mille detenuti senza accuse né processo dopo il 7 ottobre 2023. Eppure quelli detenuti da Hamas sono chiamati “ostaggi” e i prigionieri israeliani sono chiamati “prigionieri” dalla stampa occidentale, ma anche loro erano ostaggi. Israele inizierà anche a ritirare le truppe dalle aree popolate di Gaza e il valico di Rafah con l’Egitto riaprirà agli aiuti umanitari.La seconda fase mira al ritiro completo di Israele da Gaza e alla liberazione di tutti i prigionieri israeliani rimasti. E infine – se mai arriveremo a questo punto! – ci sarà una terza fase in cui verranno restituiti i corpi dei prigionieri israeliani morti e verrà attuato un piano di ricostruzione a lungo termine per Gaza.Ma questo solleva alcune questioni importanti. L’accordo, in tutti i suoi elementi cruciali, è esattamente lo stesso che Hamas aveva accettato nel maggio 2024! Mentre Israele la tirava per le lunghe, l’accordo era stato concordato da entrambe le parti la scorsa estate, ma è stato vanificato da Netanyahu che ha insistito sul fatto che Israele non poteva ritirarsi dal corridoio, al confine tra Gaza e l’Egitto.Netanyahu ha sostenuto che si trattava di un elemento critico per la sicurezza nazionale di Israele. Ma l’accordo raggiunto nel fine settimana prevede proprio il ritiro dal corridoio Filadelfia, fatto che rivela che tale insistenza è sempre stata solo una scusa. Questo ha messo a nudo i calcoli cinici del premier israeliano, motivati da ragioni di sopravvivenza personale e politica, cosa che non è sfuggita alle famiglie degli ostaggi israeliani.In una conferenza stampa alla Casa Bianca per annunciare l’accordo, Joe Biden si è rifiutato di riconoscere il ruolo di Donald Trump nel raggiungimento dell’accordo – “è uno scherzo?”, ha detto. Il fatto è che Biden non ha avuto nulla a che fare con la conclusione dell’accordo. L’accordo è stato raggiunto solo grazie all’intervento di Donald Trump, prima ancora che entrasse in carica!Ad agire per conto di Trump è stato il suo inviato Steven Witkoff, un immobiliarista miliardario e uno stretto alleato. Witkoff non aveva alcun mandato ufficiale, eppure non solo ha spinto per la finalizzazione dell’accordo in Qatar, dove si stavano svolgendo i negoziati, ma ha anche costretto il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, in modo rude e brusco, a firmarlo senza indugio.Riepiloghiamo i fatti fondamentali: Donald Trump ha ottenuto, in pochi giorni, un accordo che l’amministrazione Biden non era riuscita a raggiungere per più di otto mesi. Da ciò si evince chiaramente che Biden non aveva alcuna intenzione o desiderio particolare di compiere uno sforzo reale per far cessare la guerra a Israele.Si parlava di pace e allo stesso tempo si armava Israele fino ai denti e gli si forniva tutto il sostegno che richiedeva. In totale, gli Stati Uniti hanno speso 17,9 miliardi di dollari in aiuti militari a Israele dall’ottobre 2023 all’ottobre 2024. Le forze americane e britanniche hanno anche sostenuto Israele con la raccolta di informazioni e l’acquisizione di bersagli. I governi occidentali hanno anche formato un fronte politico unito in difesa di Israele.A parole, quindi, Washington e i suoi lacchè europei hanno fatto parte della coalizione di guerra di Israele e non avevano alcuna intenzione di costringere Netanyahu a raggiungere un accordo. Ciò rientrava nella politica estera di Biden, secondo la quale gli Stati Uniti devono rispondere con la forza a qualsiasi sfida al loro dominio o a quello dei loro alleati in qualsiasi parte del mondo.Di conseguenza, qualsiasi cosa accada, gli Stati Uniti non possono essere visti fare passi indietro e, se in qualsiasi momento si trovano sotto pressione, devono semplicemente rispondere con il doppio della forza. Ma tale comportanento per mostrare la potenza dell’imperialismo americano ha portato solo a mostrare i suoi limiti.Vittoria o sconfittaNonostante la schiacciante forza militare dispiegata contro Gaza, Israele non è riuscito a raggiungere i suoi principali obiettivi di guerra, ovvero la distruzione di Hamas e la restituzione degli ostaggi. Hamas rimane ancora oggi una forza potente, capace di infliggere perdite alle truppe israeliane e di lanciare attacchi missilistici. Nel frattempo, la guerra ha radicalizzato enormemente i giovani palestinesi che sono pronti a rimpolpare i ranghi dell’organizzazione.“Siamo in una situazione in cui il ritmo con cui Hamas si sta ricostruendo è superiore a quello con cui l’IDF lo sta sradicando”, ha dichiarato Amir Avivi, generale di brigata israeliano in pensione, al Wall Street Journal.Non solo Hamas non è stato distrutto, ma è pienamente in controllo di Gaza, da cui Israele ha accettato un ritiro completo. Con il ritiro dal corridoio Filadelfia e la ripresa degli scambi commerciali e degli aiuti, la situazione, dal punto di vista di chi governa Gaza, sta tornando esattamente com’era il 6 ottobre 2023. In altre parole, un fallimento totale della missione israeliana e un’umiliazione per lo Stato israeliano. A un certo punto, questo deve portare a porsi domande e critiche all’interno di Israele.Ufficialmente, Netanyahu ha affermato che la guerra era necessaria per riportare a casa gli ostaggi, eppure possiamo constatare che la guerra non ha raggiunto affatto questo obiettivo. È chiaro che in larga misura questa guerra è stata combattuta e continuamente prorogata come mezzo per Netanyahu per mantenere la propria stretta sul potere e per evitare i processi per corruzione che venivano intentati contro di lui.Nel frattempo, Israele ha pagato un prezzo. Ufficialmente, almeno 400 soldati israeliani sono stati uccisi e fino a 6mila feriti. Le cifre reali sono molto più alte e non tengono conto di stress post-traumatici e di altri traumi mentali che sono aumentati tra i soldati impegnati nella guerra. Nel frattempo, è chiaro che molti ostaggi sono morti mentre Netanyahu era impegnato a respingere qualsiasi accordo.Crepe nell’armaturaÈ chiaro che, se Trump ha forzato la mano, la stanchezza per la guerra si è estesa anche alle stesse Forze di Difesa israeliane. Sebbene il sostegno alla guerra sia rimasto alto, l’atmosfera iniziale di isteria bellica ha iniziato a dissiparsi. Lo si è visto chiaramente quando il numero di riservisti che si sono presentati dopo essere stati chiamati alle armi è sceso da quasi 100 al 75-85% dello scorso novembre.Haaretz ha pubblicato un rapporto imbarazzante sul crescente disagio fra i riservisti. Secondo un sondaggio, “solo il 56% degli israeliani incoraggerebbe un membro della famiglia che ha già prestato servizio a rispondere alla chiamata alle armi”. Infatti, secondo lo stesso sondaggio di agosto, solo “il 57% degli ebrei israeliani incoraggerebbe i propri figli a farsi arruolare” e inoltre “da giugno a novembre, la percentuale di coloro che hanno detto che non li incoraggerebbero è quasi raddoppiata (dal 7,5% al 13%)”.Un ufficiale di alto grado intervistato dal giornale ha fatto eco alle difficoltà nel convincere i soldati ad andare a Gaza, dicendo che “la situazione sta peggiorando – c’è sempre meno sensazione che s arrivi a una soluzione”.Un riservista che ha partecipato a tre missioni ha fatto una serie di commenti straordinariamente rivelatori:“C’è la sensazione generale che la struttura non regga. La disciplina non è quella che dovrebbe essere. Non sentiamo che ci sia un piano per il giorno dopo e per il giorno successivo. Non è molto chiaro cosa stiamo facendo – c’è la sensazione che ogni comandante di divisione faccia quello che pensa, perché c’è una sorta di vuoto. Se i soldati chiedono conto della situazione, gli ufficiali dicono ‘È complicato, non capite’.”Sono parole serie, dette da soldati che hanno sicuramente subito enormi pressioni per mantenere la compattezza intorno all’esercito. Ufficialmente la guerra veniva combattuta per sradicare Hamas e liberare gli ostaggi, ma i soldati sul campo vedevano una realtà diversa:“In estate, i soldati avevano molta meno fiducia nei principali obiettivi di guerra e non c’erano progressi con gli ostaggi.”In realtà gli ostaggi stavano morendo a causa delle azioni dell’IDF: “Avevamo la sensazione di non fare nulla di buono. Poi abbiamo avuto operazioni [il cui scopo] non abbiamo capito, […] le persone sono state uccise in queste operazioni, e non abbiamo capito la tattica o la strategia.”Si tratta di segnali di allarme preoccupanti per la classe dominante israeliana, che si basa sul mito del suo Stato e in particolare delle sue forze armate come onnipotente difensore del popolo ebraico. Entrambe queste affermazioni sono state seriamente scosse dagli ultimi 15 mesi di conflitto.Non solo l’IDF non è stato in grado di sconfiggere Hamas a Gaza, ma la sua aggressione ha aperto le porte a ritorsioni da parte di Hezbollah in Libano, degli Houthi in Yemen e dell’Iran, che ha bucato le difese missilistiche di Israele con una dimostrazione convincente di forza in ottobre. In realtà, le difese israeliane non sono riuscite nemmeno ad arginare gli attacchi missilistici di Hamas, che sono continuati per tutta la durata del conflitto.Nel frattempo, l’economia israeliana è stata gravemente colpita. Secondo la Banca d’Israele, i costi della guerra per Israele dal 2023 al 2025 potrebbero ammontare a 55,6 miliardi di dollari, un costo pari al 10% del PIL. Le prospettive a lungo termine dell’economia high tech israeliana, in uno stato di crescente instabilità, non sono rosee. Il settore si basa su una forza lavoro giovane e istruita, che è stata particolarmente colpita dalla guerra. Tutto ciò spingerà Israele in una spirale di crisi sempre più profonda che minerà gradualmente la coesione della società israeliana.Quindi, nulla è stato risolto. Tutt’altro. Israele è più esposto e fragile di prima della guerra. In effetti, si tratta di una sconfitta. Ma il danno non è solo materiale. A soffrire è l’idea reazionaria che solo uno Stato altamente militarizzato possa garantire la sicurezza e il benessere degli ebrei israeliani. Senza questa menzogna, la classe dominante israeliana non avrebbe potuto mantenersi salda al potere per otto decenni.Ma, come la realtà ci sta dimostrando, sembra essere vero l’esatto contrario. L’atteggiamento aggressivo di Israele sta sempre più invitando all’aggressione e portando disordine all’interno di Israele stesso. Come ha affermato minacciosamente Haaretz:“I venti contrari della guerra lavorano contro il morale a lungo termine. Se la guerra finisce domani, Israele avrà bisogno di anni per ricostruire il proprio contratto sociale e anche quello militare. Se la guerra riprende il giorno dopo, il declino del morale si diffonderà.”Crisi del regimeNetanyahu e la sua ala della classe dominante israeliana hanno indubbiamente subito una sconfitta da loro stessi provocata. Il suo progetto è stato respinto e Netanyahu è stato umiliato da Donald Trump, che aveva presentato come un solido alleato.Poteva essere così, ma Donald Trump è alleato di se stesso e dell’imperialismo americano prima che di chiunque altro, e una guerra continua e infinita in Medio Oriente non si addice ai suoi scopi. Per quanto Netanyahu si sia impegnato a smentirlo, Trump gli ha dimostrato chi è il vero padrone di questa relazione. Senza il sostegno militare ed economico americano, lo Stato israeliano si sfascerebbe rapidamente.Trump ha indubbiamente promesso una serie di concessioni in cambio dell’accettazione dell’accordo di cessate il fuoco da parte di Netanyahu, ma questo non cambia il fatto che si tratta di un cedimento umiliante per l’imperialismo israeliano.Naturalmente, non c’è alcuna garanzia che gli israeliani si attengano alle loro parole. Senza dubbio, il movimento reazionario dei coloni e i suoi partiti, che sono stati alleati chiave di Nenanyahu, a un certo punto spingeranno per una nuova guerra.Uno dei loro principali rappresentanti, il ministro della Sicurezza nazionale di estrema destra Itamar Ben-Gvir, si è già dimesso dalla coalizione di governo di Benjamin Netanyahu. Questo lascia quest’ultimo con una maggioranza parlamentare molto ristretta, aumentando così l’influenza degli altri partiti della coalizione. Il ministro delle Finanze di estrema destra Bezalel Smotrich è rimasto nel governo, ma ha minacciato di dimettersi se la guerra non riprenderà dopo la fase iniziale di 42 giorni del cessate il fuoco. Se continueranno su questa linea, però, tutte le contraddizioni che si sono accumulate finora non potranno che crescere, preparando così una crisi più profonda.Dall’altro lato, c’è l’atteggiamento di una parte consistente della popolazione urbana che ha sempre odiato Netanyahu, i coloni e la destra. Quando la cortina fumogena della propaganda si diraderà e la frenesia della guerra estrema si placherà, almeno in una certa misura, molti di questi settori saranno costretti a fare i conti con una nuova realtà. In questo contesto, alcuni inizieranno a cercare un percorso alternativo, diverso dal militarismo e dall’imperialismo, entrando così in conflitto con le norme stabilite del sionismo israeliano.Qui si delineano le linee di frattura sociale, che si allargheranno in futuro e che a un certo punto potrebbero anche acquisire una natura di classe.Crisi dell’imperialismo occidentaleFin dall’inizio di questa guerra, abbiamo ripetuto più volte che l’Occidente è complice e partecipe diretto dei crimini dell’imperialismo israeliano. Hanno sostenuto la guerra contro Gaza finanziariamente, militarmente e politicamente. Hanno appoggiato Israele con tutte le loro forze per mostrare al mondo intero la forza dell’imperialismo occidentale. Eppure, il risultato è stato esattamente l’opposto. Abbiamo una sconfitta, non solo per Israele, ma anche per l’imperialismo statunitense, per l’Occidente nel suo complesso e per l’establishment politico liberale.Nonostante tutti i tentativi, la macchina militare israeliana, sostenuta dai suoi potenti alleati, non è riuscita ad annientare la resistenza palestinese. Questo ci ricorda i limiti dell’imperialismo occidentale, che ha subito un destino simile in Iraq e in Afghanistan e che si trova di fronte a una sconfitta ancora più grande in Ucraina.La guerra ha suscitato un diffuso malcontento all’interno degli Stati Uniti, dove milioni di lavoratori e giovani hanno voltato le spalle ai Democratici per il loro atteggiamento guerrafondaio. Questo è stato un fattore significativo nel crollo del sostegno ai Democratici e nell’elezione di Trump, che ha promesso di porre fine alle guerre infinite. Naturalmente, è un’altra questione se lo farà davvero.La politica estera di Trump è un’ammissione dei limiti dell’imperialismo statunitense. Piuttosto che insistere in una controproducente dimostrazione di forza militare, è propenso a ritirarsi, a fare concessioni e a proteggere gli interessi fondamentali del capitalismo americano. Una guerra non vincente a Gaza e la destabilizzazione del Medio Oriente non sono tra questi. Prima l’America, poi il resto del mondo. Almeno, questo sembra essere il suo obiettivo. Se ci riuscirà o meno è un’altra questione.Tutto ciò, in sostanza, equivale a una parziale ritirata dell’imperialismo statunitense che avrà conseguenze di vasta portata. Soprattutto, influenzerà la coscienza di milioni di persone negli Stati Uniti e in Occidente. Tutte le idee di superiorità morale e di potenza dell’Occidente sono sempre più screditate a ogni battuta d’arresto. Ciò si aggiunge alla crisi dell’establishment liberale che ha controllato Washington e le capitali europee per tutto il dopoguerra.Si sono presentati come i sostenitori dei principi della democrazia, dei diritti umani e del diritto internazionale. Ma per un numero sempre maggiore di persone, ciò che diventa ogni giorno più chiaro, è che il liberalismo odierno è la fonte della reazione e che il loro “ordine basato sulle regole” è una cinica messinscena volta a coprire il loro barbaro interesse imperialista.Sono questi signori, ben vestiti e a volte anche con una buona oratoria, istruiti nelle migliori università con sorrisi e modi raffinati, che sono la fonte delle politiche più reazionarie sia all’estero che in patria.Sono loro che hanno tagliato i sussidi per il riscaldamento nei mesi invernali agli anziani poveri in Gran Bretagna, mentre mandano miliardi per combattere le guerre in Ucraina e a Gaza. Sono quelli che hanno tagliato la spesa sanitaria e altre spese per il welfare mentre spendono migliaia di miliardi per la corsa agli armamenti. E sono quelli che parlano di democrazia mentre perseguitano chi si batte per i diritti dei palestinesi. Non c’è da stupirsi se in ogni paese si assiste a una reazione contro queste forze.Ed è proprio questa reazione, cioè l’ascesa della lotta di classe in Occidente, che rappresenta una speranza per la liberazione della Palestina. Le masse palestinesi hanno dimostrato un’eccezionale capacità di resistenza e spirito di lotta. Ma dobbiamo guardare la realtà negli occhi. La guerra di Israele è fallita, ma la lotta di liberazione palestinese non ha vinto. Anzi, non è riuscita a risolvere nessuno dei problemi fondamentali che ha posto.I palestinesi sono ora sprofondati ancora di più nell’abisso della barbarie da cui non può venire una vera pace. Sono stati ridotti a vivere in piccole enclavi di masse impoverite e poco armate, di fronte a un potente Stato militare che dispone di alta tecnologia. In una campagna puramente militare, lo Stato sionista non può essere rovesciato.Il modo migliore per colpire Israele è, da un lato, dividere lo Stato sionista lungo linee di classe, con un appello a tutti quegli israeliani che nel prossimo periodo inizieranno a dubitare dei vertici attuali di Israele e a rompere con la propria classe dominante, e dall’altro lato colpire i rifornimenti israeliani di armi, finanziamenti e coperture politiche provenienti dall’Occidente. Il destino dei palestinesi oggi è quindi più che mai intrecciato con quello della classe operaia mondiale. La lotta per la fine dello Stato sionista israeliano e per una Palestina veramente libera è la stessa lotta contro il capitalismo in Occidente, e in particolare negli Stati Uniti. Le due lotte devono essere collegate.La crisi del capitalismo mondiale sta alimentando ovunque le fiamme della lotta di classe. In questa lotta, i lavoratori e i poveri possono contare solo sulle proprie forze. Tuttavia, se uniti, nulla può fermarli. La lotta per una Palestina libera inizia con la lotta contro il capitalismo e l’imperialismo a casa nostra.