La presa di Goma e la catastrofe che incombe sul Congo Share TweetGoma, la città più grande del Congo orientale, è caduta nelle mani del gruppo ribelle “M23”. Mentre scriviamo, non è chiaro quali parti della città siano sotto il controllo dei ribelli, ma il suono dei colpi di arma da fuoco che avevano riempito la città risultano essere cessati.[Source]Stanno girando i video delle truppe dell’M23 che pattugliano le strade, mentre i soldati dell’esercito congolese vengono fatti prigionieri o cercano rifugio negli edifici dell’Onu presenti in città. I rifornimenti di acqua ed elettricità sono stati interrotti nella città, che ospita 2 milioni di abitanti. Il personale sanitario sostiene che gli ospedali sono inondati di feriti, di persone che hanno subito violenza sessuale e di moribondi. Le strade sono ricoperte di cadaveri.La maggior parte della provincia del Nord Kivu, di cui Goma è il capoluogo, è ora nelle mani dell’M23. Il gruppo ribelle è all’opera per instaurare un’amministrazione permanente a Goma, dopo aver ucciso la scorsa settimana il governatore del Nord Kivu.Le notizie della caduta di Goma hanno scatenato manifestazioni di massa nelle città congolesi in appoggio alle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo e contro il vicino Ruanda che, come è risaputo, sta appoggiando i ribelli. A Kinshasa, le manifestazioni sono state vietate, dopo che i manifestanti hanno assaltato dieci ambasciate straniere, incluse quelle del Ruanda, dell’Uganda, degli Stati Uniti e della Francia.Gli appelli per un cessate il fuoco, provenienti dall’Onu, dall’Unione Africana e da una serie di capi di Stato, sono stati rigettati dal presidente congolese Félix Tshisekedi, che ha promesso di riconquistare tutto il territorio perduto. Nel frattempo, i combattimenti proseguono e pare che l’M23 si stia ora dirigendo verso la città di Bukavu nella provincia del Sud Kivu.Guerra senza fineIl conflitto in corso è parte di un ciclo ininterrotto di violenza che ha avuto inizio con le Guerre del Congo, che seguirono il genocidio ruandese del 1994. Da allora, più di 120 gruppi armati infestano il Congo orientale, finanziandosi con le immense ricchezze del sottosuolo.L’M23 emerse per la prima volta nel 2012. È risaputo che questo gruppo, principalmente composto da congolesi di etnia tutsi, è in stretti rapporti con il regime ruandese, dominato dai tutsi, e con il suo alleato, l’Uganda. Oggi è di gran lunga la forza combattente meglio armata e più disciplinata nell’est del Congo. Sappiamo che dispone di missili terra-aria, di artiglieria pesante e di inibitori di segnale gps, dimostrandosi capaci di usarli tutti con grande efficacia.L’Onu ha più volte confermato che sono coinvolte nei combattimenti, al fianco dell’M23, anche 3/4mila soldati ruandesi e che le operazioni sono sotto il comando dell’esercito ruandese. Questa affermazione non è stata confermata né negata da Paul Kagame, il presidente del Ruanda.Sebbene rifiuti di riconoscere la presenza del Ruanda in Congo, Kagame afferma di stare agendo “in maniera difensiva”, al fine di proteggere i tutsi che vivono nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) dagli estremisti di etnia hutu, fuggiti in Congo dopo il genocidio ruandese. In realtà, è ben più interessato alle ricchezze minerarie del Congo, in particolare all’oro e al coltan, che è essenziale per la produzione delle batterie dei telefoni cellulari e dei veicoli elettrici.L’anno scorso, il Ruanda è diventato il principale esportatore di coltan, sebbene ospiti nel proprio territorio pochissime miniere di coltan. In effetti, si stima che il 90% del coltan ruandese derivi in realtà dalle miniere della RDC e che venga poi rivenduto come prodotto “non proveniente da zone di conflitto” alle multinazionali americane, cinesi e tedesche.L’ipocrisia imperialistaL’M23 riemerse dopo un periodo di inattività alla fine del 2021 e diede inizio a una rapida avanzata nel 2022. Da allora, non sono mancati appelli per la pace pieni di zelo da parte dell’Onu e dei governi di tutto il mondo, inclusi Stati Uniti e Cina. Ma non è stata intrapresa alcuna azione concreta. Infatti, gli imperialisti continuano ad appoggiare il regime ruandese.L’ultima volta che l’M23 avanzò nel Congo orientale fu nel 2012. Quando il gruppo prese Goma per la prima volta, nel novembre dello stesso anno, le potenze occidentali inflissero immediatamente sanzioni allo Stato ruandese e un grosso contingente dell’Onu sferrò una controffensiva contro l’M23, che venne costretto a darsi alla macchia.Questa volta, tuttavia, le uniche misure prese sono state sanzioni mirate contro un pugno di singoli comandanti in Ruanda e in Congo e la sospensione degli aiuti militari. Queste modeste sanzioni sono state imposte nell’agosto e nell’ottobre del 2023, più di un anno dopo che l’M23 aveva dato inizio alla sua avanzata, nella primavera del 2022.La passività ipocrita da parte della cosiddetta “comunità internazionale” riflette i mutamenti fondamentali nelle relazioni mondiali che hanno avuto luogo negli ultimi anni. Nel 2012, gli Stati Uniti e i loro alleati erano l’unica scelta possibile. Le piccole nazioni, come il Ruanda, che dipendeva enormemente dagli aiuti occidentali, non avevano altra opzionese non di piegarsi alle pressioni occidentali.Oggi non è più così. Come ha dimostrato la guerra in Ucraina, gli Stati che incorrono nell’ira degli Stati Uniti e dei loro alleati sono in grado di aggirare le sanzioni commerciando con tutta una serie di altri paesi. Dal 2012, il Ruanda ha stabilito rapporti commerciali e finanziari con la Cina, gli Emirati Arabi Uniti, il Qatar e l’India.Inoltre, l’imperialismo occidentale continua a fare affidamento sull’esercito ruandese per proteggere i propri interessi in altri paesi africani meno stabili. Soltanto lo scorso novembre, l’Ue ha accordato al Ruanda l’invio di 20 milioni di euro per sostenere il dispiegamento di un “contingente di pace” nel Mozambico settentrionale, dove la multinazionale francese TotalEnergies ha avviato un importante progetto per l’estrazione del gas.In altre parole, l’imperialismo occidentale si trova tra l’incudine e il martello. Sebbene facciano appello a Kagame per il ritiro delle sue truppe, i leader occidentali sanno che, se facessero pressioni serie, potrebbero perdere l’ultimo alleato stabile che hanno nella regione.Questa è una questione esistenziale per Kagame. Nonostante egli affermi di lottare per proteggere i tutsi ruandesi e congolesi, la sua unica priorità è la stabilità del suo regime.Lo Stato ruandese è dominato dai tutsi, che rappresentano solo il 14% della popolazione. Finora, Kagame ha tenuto in piedi questo status quo combinando uno spietato regime militare con la crescita economica, che ha permesso al regime di offrire posti di lavoro e alcune concessioni alla maggioranza hutu.Se la crescita che l’economia ruandese ha visto nell’ultimo periodo dovesse avere fine, le vecchie ferite verrebbero riaperte. La classe dominante ruandese comprende che se vuole mantenere stabilmente il proprio dominio, deve sviluppare l’economia, rendendosi indipendente dagli aiuti stranieri e arrivando a giocare un ruolo indipendente nella regione. La strada verso questo sviluppo passa direttamente dalle miniere di oro e di coltan del Congo orientale.Pertanto, Kagame non farà un passo indietro. Il suo appello per un “cessate il fuoco immediato” equivale a una richiesta al governo congolese di riconoscere gli attuali rapporti di forza e di negoziare direttamente con l’M23, lasciando al proprio vassallo il controllo di gran parte del Nord Kivu.MultipolarismoIl declino relativo dell’imperialismo americano e l’ascesa di potenze rivali, come la Russia e la Cina, è stato accolto di buon grado da molti governi africani. Essi sperano che, equilibrandosi tra le principali potenze le nazioni più deboli, saranno in grado di giocare un ruolo più indipendente.In pratica, ciò non significa progresso e sviluppo pacifico, bensì maggiore instabilità, guerre e sofferenze per i popoli d’Africa. Nella regione dei Grandi Laghi, assistiamo all’annessione di fatto di una parte del Congo orientale da parte del Ruanda. Ma questo è solo un esempio.È necessario ricordare che i confini delle nazioni africane sono totalmente arbitrari e irrazionali, dal momento che sono stati tracciati dalle potenze coloniali con lo scopo deliberato di fomentare dispute territoriali, creare enclavi etniche e alimentare conflitti nazionali all’interno di un mosaico di Stati africani indeboliti.Piuttosto che impegnarsi ad abolire questi confini ereditati dal colonialismo, l’Organizzazione dell’Unità Africana ha introdotto il principio della “inviolabilità dei confini nazionali” nella sua carta fondativa nel 1963. Questo avvenne per il semplice fatto che se i confini di un paese fossero stati alterati, ciò avrebbe potuto provocare una reazione a catena di dispute, guerre e persino genocidi in tutto il continente.Ci sono senza dubbio numerosi leader africani che stanno seguendo con interesse gli eventi nell’est del Congo e si stanno chiedendo se questa non possa essere anche la loro occasione per farsi valere. L’orrore in corso in questo momento nel Congo orientale sottolinea soltanto il fatto che finché il capitalismo sussisterà in Africa, l’unità africana rimarrà un’utopia.Sull’orlo della catastrofeIl Congo è sull’orlo della catastrofe. È già in atto un disastro umanitario di proporzioni inimmaginabili. Secondo un portavoce del programma alimentare delle Nazioni unite, “le strade sono bloccate, i porti sono chiusi e coloro che solcano il lago Kivu rischiano la propria vita su imbarcazioni di fortuna”.Al momento, ci sono nel Nord Kivu e nelle province circostanti di Ituri e del Sud Kivu più di 5 milioni di sfollati, che vivono in campi profughi sovraffollati e carenti di risorse. I combattimenti dentro e fuori da Goma hanno impedito l’arrivo di cibo e di aiuti, il che significa che la fame incombe su milioni di uomini, donne e bambini .Gli operatori umanitari stanno anche segnalando un elevato rischio di malattie come il colera e il vaiolo delle scimmie, che potrebbero diffondersi a Goma e oltre. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha annunciato un “incubo” a livello di sanità pubblica se i combattimenti dovessero continuare.Ad inasprire la crisi c’è anche l’instabilità interna dello Stato congolese. Tshisekedi ha chiesto ai giovani di “organizzarsi in gruppi di vigilanza” e di arruolarsi nelle forze armate. Pare che i giovani si stiano arruolando in massa come volontari per sconfiggere il Ruanda e “difendere la repubblica”.Ma queste reclute senza addestramento e a corto di armi verranno mandate in una situazione da incubo. Verranno guidate dai vertici di un esercito che ha più volte dimostrato di essere irrimediabilmente corrotto e quasi indistinguibile dalle varie milizie locali che infestano il Congo orientale, contro una forza ben equipaggiata e disciplinata. Persino prima della cattura di Goma, nell’esercito congolese la demoralizzazione e la diserzione erano endemiche. L’afflusso di migliaia di combattenti nell’est del Congo potrebbe ulteriormente destabilizzare la regione.Allostesso tempo, un settore della classe dominante congolese si è pubblicamente espresso in opposizione a Tshisekedi. Corneille Nangaa, un ex-alleato di governo di Tshisekedi, si è unito all’M23 nel dicembre 2023, per guidarne il fronte politico, l’Alleanza del fiume Congo, che sta raggruppando i gruppi dell’opposizione al di fuori delle zone tutsi. Egli ha detto chiaramente che il suo obiettivo è un “cambio di regime” nella RDC. E non è l’unico che vorrebbe vederlo accadere.Tshisekedi può sperare che la mobilitazione bellica rafforzi la propria posizione nello Stato. Ma è altrettanto probabile che ciò provochi una guerra civile in tutto il paese.Ma non è solo la popolazione della RDC che si trova di fronte alla catastrofe. C’è il rischio molto concreto che la guerra ad est possa trasformarsi in una replica delle Guerre del Congo, che coinvolsero in totale nove Stati africani e portarono alla morte di più di 5 milioni di persone tra il 1996 e il 2003.Migliaia di soldati del vicino Burundi stanno già combattendo al fianco delle truppe congolesi contro l’M23 e l’esercito ruandese. È risaputo che anche l’Uganda ha legami con l’M23, ma allo stesso tempo ha inviato truppe nell’est del Congo all’interno di un’operazione congiunta con la RDC.L’intera regione è come una montagna di polvere da sparo. Un singola scintilla potrebbe bastare per dare il via a una conflagrazione che farebbe impallidire l’orrore e la distruzione di Gaza. Più a lungo i combattimenti si protraggono, maggiore è la possibilità che lo scenario peggiore si realizzi.Poniamo fine al capitalismo!Il capitalismo ha creato un inferno nel Congo orientale. Nel frattempo, tutte le principali potenze, che hanno sfruttato il popolo e le risorse del Congo per più di un secolo, non hanno nulla da offrire se non ipocrisia, inganni e ulteriore sfruttamento.L’Occidente “democratico” preferirebbe vedere il Congo bruciare piuttosto che recidere i propri legami con la dittatura militare ruandese. Ma che dire della Cina, che riconosce ufficialmente la RDC come un “partner strategico all’interno di una cooperazione integrata”? Il governo cinese è stato ancora più silenzioso di quello Occidentale, mentre continua a comprare coltan da Kagame.È molto comprensibile, allora, che Tshisekedi dica:“Il popolo congolese vede la passività del mondo, che confina con la complicità. La RDC non verrà umiliata o schiacciata. Combatteremo e trionferemo”.Ma questo non cambia il fatto che né Tshisekedi né nessun altro all’interno della corrotta e degenere classe dominante congolese possa guidare il popolo del Congo verso la pace, il progresso o la libertà.Solo una rivoluzione può porre fine al massacro. I lavoratori e i giovani del Congo devono prendere nelle proprie mani la terra e le ricchezze del paese. Su questa base potrebbero connettersi ai lavoratori dei paesi vicini, che hanno esattamente lo stesso interesse a porre fine all’orrore e a spazzare via gli Stati reazionari della regione.Ma i comunisti in tutto il mondo devono riconoscere che le sofferenze del popolo congolese sono legate con mille fili ai banchieri e ai capitalisti che siedono negli eleganti uffici di New York, Londra e Pechino. Dobbiamo colpire al cuore del mercato mondiale, che continua a nutrirsi del sangue dell’Africa. La lotta per la libertà dell’Africa è inseparabile dalla lotta per il comunismo in tutto il mondo.Abbasso l’imperialismo!Abbasso i regimi capitalisti reazionari della regione del Grandi Laghi!Solo i lavoratori e i contadini dell’Africa possono porre fine alla crisi, in alleanza con i lavoratori di tutto il mondo!Per una Federazione Socialista d’Africa!Per approfondire:‘Crisis in the Congo: why is M23 advancing?’ (2024)‘Capitalism, Imperialism and the Wars in Africa. The Meaning of the Conflict in Congo’ (1998)