“La Costa azzurra del Medio Oriente”: Trump propone una nuova Nakba

Nella sera del 4 febbraio, nel corso di una conferenza stampa congiunta con il primo ministro israeliano Netanyahu, il presidente americano Donald Trump ha proposto che gli Stati Uniti prendano il controllo di Gaza e costringano la sua intera popolazione (due milioni di palestinesi) a trasferirsi in altri “posti” (in Giordania e in Egitto), cosicché l’area possa essere ricostruita sotto forma di un’enclave internazionale, che ha descritto come “la Costa azzurra del Medio Oriente”.

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Il magnate newyorchese dell’immobiliare è in carica da appena due settimane e ha già effettuato alcune mosse ardite in politica estera. Ha minacciato un intervento militare per impadronirsi della Groenlandia e del Canale di Panama, ha minacciato i tre principali partner commerciali degli Stati Uniti con i dazi, ha minacciato la Colombia di imporle dazi punitivi e ha fatto un accordo con il Venezuela di Maduro.

Eppure, la proposta che ha illustrato nell’incontro con il primo ministro israeliano le ha superate tutte: l’espulsione di due milioni di palestinesi da Gaza, che verrebbe posta sotto il controllo americano.

Nei giorni precedenti all’incontro, Trump aveva già fatto allusioni in tal senso in svariati post sui social media. Tuttavia, questa è stata la prima volta che ha sviluppato l’idea più nel dettaglio. A dirla tutta, Trump ha letto una dichiarazione scritta. “Non è stata una decisione presa alla leggera”, ha sottolineato.

Cosa ha detto veramente Trump? “Gli Stati Uniti prenderanno possesso della Striscia di Gaza e faranno un bel lavoro. Sarà nostra”, ha detto Trump. Ha aggiunto che ciò che stava proponendo era “la proprietà a lungo termine” della Striscia nelle mani degli Stati Uniti.

Sarà nostra e ci faremo carico della bonifica di tutti gli ordigni inesplosi pericolosi sul luogo, della rimozione delle macerie, della ricostruzione, di creare uno sviluppo economico che fornirà un numero illimitato di posti di lavoro e di abitazioni per le persone della zona”, ha aggiunto.

[Dobbiamo] fare qualcosa di diverso. Non possiamo semplicemente tornare indietro. Se si torna indietro, andrà come è andata negli ultimi cento anni”, ha detto, aggiungendo che altri leader della regione sono favorevoli alla sua idea. “Non dovremmo passare attraverso un processo di ricostruzione e di occupazione da parte delle stesse persone che hanno… vissuto lì e sono morte lì e lì hanno vissuto una vita miserabile.

Riguardo alla domanda su dove i palestinesi di Gaza avrebbero dovuto essere spostati, egli ha menzionato paesi “con un cuore umanitario”. Quando aveva ventilato l’idea nelle ultime settimane, aveva menzionato l’Egitto e la Giordania, i cui governi hanno però già rifiutato la proposta.

Poco prima, nella stessa giornata, Trump aveva specificato di non essere a favore di una ricolonizzazione di Gaza da parte di Israele, cioè l’idea perorata dai coloni sionisti di estrema destra e da una parte dell’establishment militare. Nella conferenza stampa, ha dichiarato che sarebbe stata la “gente di tutto il mondo” a viverci, dopo che gli Stati Uniti avranno finito di ricostruirla. Ha accennato al fatto che i palestinesi potrebbero essere tra coloro che potranno tornarvi, ma la Striscia diventerebbe un “hub internazionale… non per un gruppo specifico di persone, ma per tutti”.

Non voglio essere simpatico. Non voglio essere un tipo saggio”, ha scherzato Trump, dopo aver dichiarato che Gaza potrebbe diventare la ‘Costa azzurra del Medio Oriente’. Potrebbe essere qualcosa di magnifico.

Ovviamente, la reazione di Netanyahu è stata estatica. “Dici cose che altri si rifiutano di dire. E dopo lo sbigottimento, la gente si gratta il capo e dice: ‘Lo sai che ha ragione’”, ha detto, definendo Trump il “migliore amico” di Israele e dichiarando che il suo piano “cambierebbe la storia”. Non è chiaro se Netanyahu fosse a conoscenza del piano di Trump prima dell’incontro. Sicuramente questo ha delle somiglianze con un piano che risulta essere trapelato dal suo governo nella primavera dello scorso anno, chiamato Gaza 2035. Il piano prevedeva una nuova Zona di Libero Scambio a Gaza, ripulita dai palestinesi e trasformata in un parco giochi per ricchi, collegata con una linea ferroviaria ad alta velocità a Neom in Arabia Saudita e a Port Said in Egitto. Ma è del tutto possibile che egli non ne fosse a conoscenza quando è stato costretto a firmare l’accordo di cessate il fuoco, per quanto ne sia adesso sicuramente molto lieto, visto che gli offre l’ancora di salvezza di cui ha tanto bisogno.

All’inizio di gennaio, l’inviato di Trump, Witkoff, ha intimato a Netanyahu di firmare un accordo di cessate il fuoco con Hamas che ha indebolito la sua immagine. Non ha raggiunto nessuno degli obiettivi di guerra dichiarati di Israele (il recupero degli ostaggi attaverso la forza militare e la distruzione di Hamas), ed è stato costretto a rilasciare centinaia di ostaggi palestinesi detenuti da Israele. Questo ha gravemente indebolito la sua coalizione di governo, tanto che uno dei due partiti dei coloni di estrema destra è uscito dalla coalizione e l’altro ha minacciato di farlo se la guerra contro Gaza non dovesse ricominciare dopo la prima fase dell’accordo di cessate il fuoco.

Dopo la dichiarazione di Trump, l’intera situazione si è volta a suo favore. Netanyahu è stato il primo capo di Stato straniero ad essere ricevuto dal nuovo presidente americano. Inoltre, Trump ha recapitato a Israele nove quintali di munizioni, la cui consegna era stata rinviata da Biden e ha levato le sanzioni ai coloni in Cisgiordania. Adesso, Trump gli sta dando la possibilità di “portare a termine il lavoro” a Gaza, cosa che non è stato in grado di fare con mezzi militari efferati e genocidi negli scorsi 15 mesi. “Israele metterà fine alla guerra vincendo la guerra”, ha detto il macellaio di Gaza durante la conferenza stampa, ammettendo così tacitamente che l’accordo di cessate il fuoco non è stato una vittoria per Israele.

Tuttavia, Netanyahu non ha preso impegni rispetto all’eventualità di un controllo americano di lungo termine su Gaza. In ogni caso, al momento, ha riempito di elogi il suo alleato alla Casa Bianca.

C’è di più. In un’iniziale discussione con la stampa nell’Ufficio Ovale prima dell’incontro con Netanyahu, Trump ha detto di non essere sicuro che il cessate il fuoco reggerà: “Non ho garanzie che la pace reggerà”. Questa è musica per le orecchie di Netanyahu, che ha promesso ai propri alleati di estrema destra nel governo che la guerra ricomincerà dopo la prima fase del cessate il fuoco. Sarebbe ben contento di rompere l’accordo, se questo gli permettesse di rimanere al potere.

Certo, Netanyahu potrebbe trovare o architettare con facilità un incidente che gli permetterebbe di dare la colpa ad Hamas per la rottura della tregua. Sta già suggerendo di estendere di due settimane le negoziazioni per la seconda fase dell’accordo. Questo però è un gioco pericoloso che potrebbe erodere ulteriormente il suo consenso all’interno di Israele, dove una grande parte della popolazione già lo considera un cinico faccendiere, più interessato alla propria sopravvivenza personale e politica che al destino degli ostaggi. Trump ha anche lasciato campo libero ad un’approvazione americana ad un’annessione israeliana della Cisgiordania, che probabilmente sta utilizzando come elemento di scambio nelle sue trattative con il primo ministro israeliano: “Non parlerò di questo. Sicuramente si tratta di un paese molto piccolo in termini di territorio”, ha risposto Trump a una domanda sull’argomento. Se Trump permettesse a Israele di annettere la Cisgiordania, questo porterebbe ad un’insurrezione generalizzata dei 2,7 milioni di palestinesi che ci vivono, a una guerra civile aperta con i 700mila coloni ebrei e a nuovi tumulti nella regione.

Netanyahu sta anche tentando di fare pressioni su Trump sulla questione dell’Iran. Vorrebbe che gli americani entrassero in gioco militarmente per distruggere le basi nucleari iraniane. “La vediamo allo stesso modo anche sull’Iran”, ha detto Netanyahu, “hanno cercato di uccidere lei, signor Presidente, e mediante i propri alleati, hanno cercato di uccidere me”. Ma Trump non ne è stato entusiasta. Sebbene condivida l’odio per Teheran del primo ministro israeliano, preferirebbe utilizzare la pressione economica per raggiungere gli stessi obiettivi: “Se potessimo risolvere questo problema senza combattere, senza tutte le cose che vivete da molti anni, penso che sarebbe una cosa magnifica”, ha detto Trump.

Mettiamo le cose in chiaro: probabilmente Trump sta affrontando il problema con la mentalità del magnate dell’immobiliare – qui c’è un pezzo di terra pieno di macerie, spostiamo la sua popolazione in qualsiasi altro posto, diamogli delle case, ricostruiamo il sito e consegniamolo ai nuovi occupanti. E la mette in termini umanitari: nessuno può vivere nella Striscia, ci sono 30mila ordigni inesplosi.

Ma questa proposta equivale a nientemeno che una nuova Nakba: l’espulsione forzata di due milioni di palestinesi dalla loro terra. Sarebbe il completamento di ciò che Israele aveva cominciato con la sua guerra genocida contro Gaza: la pulizia etnica e la cancellazione di un intero popolo.

Trump pensa di essere una persona talmente in gamba, con una personalità talmente carismatica, da riuscire a convincere chiunque dei propri magnifici piani semplicemente a parole. E se gli interlocutori non si trovano d’accordo, è pronto ad utilizzare l’enorme peso economico degli Stati uniti (e persino la minaccia di un intervento militare) per assicurarsi che lo facciano, come ha dimostrato negli ultimi giorni.

I paesi che nella mente di Trump dovrebbero pagare e fornire gli spazi per il trasferimento forzato di due milioni di palestinesi (Giordania, Egitto e Arabia Saudita) hanno già espresso la propria ferma opposizione al suo piano raccapricciante. Quando gli è stata fatta una domanda a questo riguardo, Trump ha semplicemente accantonato le obiezioni: “Dicono che non accetteranno, io dico che lo faranno”.

La verità è che nessuno di questi paesi può accettare questa proposta. I regimi arabi reazionari sono già ampiamente disprezzati dalle masse della regione e i loro paesi vengono considerati marionette dell’imperialismo americano e collaborazionisti dello Stato sionista di Israele nella sua brutale repressione dei diritti nazionali palestinesi.

C’è una rabbia montante nei confronti della monarchia hashemita tra le masse giordane, composta in gran parte da palestinesi veri e propri, a causa del modo in cui il re Abdullah ha aiutato la difesa aerea israeliana in occasione dell’attacco missilistico iraniano. Per il regime giordano, si tratta di una questione esistenziale. Secondo un articolo di Middle East Eye che ha citato fonti ufficiali giordane, qualsiasi tentativo da parte di Israele di spingere gli abitanti di Gaza oltre il confine giordano rappresenterebbe un casus belli e porterebbe alla guerra. La situazione in Egitto non è migliore per il regime di al-Sisi. Entrambi i regimi hanno preso misure molto dure per reprimere al proprio interno la rabbia nei confronti della guerra genocida di Israele e la solidarietà con Gaza.

Per quanto riguarda l’Arabia Saudita, qualsiasi tentativo di arrivare a una normalizzazione nei rapporti con Israele senza la creazione di un qualche tipo di Stato palestinese provocherebbe seri disordini interni, forse anche attacchi terroristici e persino il rovesciamento della monarchia.

Per non parlare poi del fatto che spostare due milioni di palestinesi da Gaza in Egitto e in Giordania significherebbe anche trasferire le forze di Hamas, le sue milizie, la sua polizia e le sue infrastrutture. Questa è l’ultima cosa di cui questi regimi reazionari deboli e instabili hanno bisogno. Per loro, significherebbe il disastro.

Forse Trump conta sul fatto che gli Stati Uniti dispongono di una potenza economica che egli può utilizzare per costringere questi paesi ad accettare i propri piani di pulizia etnica. Gli Stati Uniti hanno già tagliato gli aiuti alla Giordania due settimane fa e hanno anche delle basi militari nel paese. L’Egitto è stato appositamente esentato dalla sospensione degli aiuti decretata da Trump e questo potrebbe essere utilizzato per esercitare una pressione sul regime, che gli Stati Uniti foraggiano con la bellezza di 1,3 miliardi di dollari ogni anno. Se anche questi due paesi venissero costretti ad accettare le proposte di Trump, ciò porterebbe sicuramente a sollevazioni di massa che minaccerebbero di rovesciarne i regimi.

La situazione è leggermente diversa per l’Arabia Saudita. Questo regno ha rafforzato i propri rapporti commerciali con la Cina che è diventata uno dei suoi principali partner commerciali. Il suo interscambio commerciale con la Cina è al momento da tre a quattro volte maggiore di quello con gli Stati Uniti. Qualsiasi tentativo di costringere i sauditi a fare delle scelte che pensano non rientrino nei loro interessi potrebbe ritorcersi contro, spingendoli ancora di più nelle braccia della Cina e della Russia.

E che dire dei palestinesi a Gaza? Questo magnate immobiliare ignorante e prepotente pensa che la sua sia un’offerta che essi non possono rifiutare: “Vivono come all’inferno. Vivono come se vivessero all’inferno. Gaza non è un luogo in cui la gente possa vivere e l’unica ragione per la quale vogliono tornarvi, e lo credo fermamente, è perché non hanno alcuna alternativa… La mia speranza sarebbe che riuscissimo a fare qualcosa di molto bello, di molto buono, affinché non vogliano più tornare… penso che ne sarebbero molto felici”. A quanto pare, crede che il suo fascino personale combinato con le meraviglie di queste case promesse funzionerà: “Non penso che mi diranno di no”.

Molti palestinesi di Gaza sono i discendenti di coloro che furono già espulsi dalle proprie terre nella Nakba nel 1948. Essi hanno resistito all’occupazione israeliana per decenni e ora sono stati sottoposti per 15 mesi alla campagna genocida dell’IDF, con il pieno appoggio dell’imperialismo americano. Certo, le loro città sono ridotte in macerie, le infrastrutture deliberatamente distrutte e decine di migliaia di persone uccise, centinaia di migliaia mutilate e circa due milioni sfollate e costrette alla miseria e alla fame. Sono stati sottoposti ad orrori inimmaginabili nella loro lotta per rimanere nella terra di loro appartenenza. Ma non sarà facile convincerli a lasciarla con la promessa di “nuove belle case”, che è inverosimile che verranno mai costruite, in una terra che non è loro. Resisterebbero con tutti i mezzi a loro disposizione e potrebbero contare sulla simpatia e l’appoggio delle masse della regione.

Quando gli è stato chiesto se gli Stati Uniti pensassero di inviare truppe a Gaza per ottenere i propri obiettivi, Trump ha risposto: “Faremo quello che è necessario”. Le forze americane sono state cacciate dall’Afghanistan e dall’Iraq, sconfitte, dopo 15 anni di massiccia presenza militare. Israele ha costruito uno strabiliante apparato di sorveglianza, dispone di dossier di intelligence su Hamas e all’inizio dell’attuale campagna genocida aveva un esercito di leva motivato. Eppure è stato incapace di distruggere Hamas. I marines si ritroverebbero a dover portare a termine una missione impossibile, che potrebbero riuscire a concludere, se ciò fosse mai possibile, soltanto sulla base di un numero di vittime palestinesi ancora più alto e di una campagna costosa per Washington, cosa che Trump non vede di buon occhio.

La logica da magnate immobiliare di Trump sta per trovarsi faccia a faccia con la realtà di un mondo che è molto più complicato di quanto creda. Certo, i paesi e le potenze imperialiste agiscono in ultima istanza sulla base dei propri interessi economici. Ma devono anche prendere in considerazione le implicazioni politiche delle proprie azioni.

È molto improbabile che questo piano genocida, basato sulla logica crassa di un affare immobiliare, possa mai giungere a compimento. Se ciò avvenisse, comporterebbe la pulizia etnica forzata di due milioni di persone, disordini di massa nella regione che potrebbero portare al rovesciamento di molti dei regimi arabi reazionari che, insieme con Israele, sono stati il bastione della potenza americana nella regione, così come potrebbe portare a un’opposizione di massa all’interno delle potenze imperialiste occidentali.

La questione della liberazione dei palestinesi, in ultima istanza, non può essere risolta all’interno dei limiti del capitalismo. Richiede il rovesciamento di tutti i regimi arabi reazionari nella regione e una lotta rivoluzionaria contro lo Stato sionista di Israele. Può essere risolta solo come parte della lotta generale contro l’imperialismo nella regione e a livello mondiale. Solo una Federazione Socialista del Medio Oriente potrebbe fornire la base materiale per la creazione di abitazioni e posti di lavoro di qualità per i palestinesi oppressi e una terra nella quale essi e tutti gli altri popoli della regione possano vivere in pace.

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