In Cina si prepara una profonda crisi economica

Dopo il 2008 la Cina ha prevenuto una depressione economica globale accumulando una massiccia quantità di debito. Nonostante ciò, non ha evitato che si facesse largo una crisi ben più grande. Questa volta la crisi sarà assai più profonda visto che la Cina non può più coprire questo ruolo.


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Nei momenti più duri della crisi del 2008, Pechino ha salvato il capitalismo globale. Lo stimolo fiscale che hanno portato avanti è stato il più grande della storia pari, ad oltre 500 miliardi di sterline. Se non ci fosse stato questo stimolo, e la domanda conseguente che ha generato in Cina per materie prime e altri beni, la crisi finanziaria si sarebbe tramutata un tracollo totale.

La crisi che si sta dipanando di fronte ai nostri occhi è di gran lunga più grave di quella di dieci anni fa. E questa volta la Cina non sarà in grado di salvare il mondo, e nemmeno la sua stessa economia.

Solo 5 giorni fa, gli economisti prevedevano un calo nella crescita cinese (annualizzata) tra il 2% e il 6,5% per il primo trimestre. Oggi la UBS ha annunciato di aspettarsi un -30%!

Pechino ha già riportato che la crescita dell’export, calcolata sul periodo corrispondente, è diminuita dal +7,9% di dicembre 2019 al -17,2 a Febbraio. Queste cifre probabilmente sottostimano significativamente il tracollo nella produzione, questo perché è verosimile che gli esportatori hanno gradualmente svuotato le loro scorte mentre i lavoratori erano in auto-isolamento, quindi la produzione potrebbe essere significativamente più bassa di quanto queste cifre suggeriscano. Infatti, gli esportatori stavano accumulando scorte in misura maggiore del normale, come risultato delle incertezze prodotte dalla guerra dei dazi di Trump, e quindi il gap potrebbe essere ancora più grande.

Indipendentemente dal fatto che la Cina riesca o meno a tornare presto “alla normalità”, le sue esportazioni continueranno a diminuire. Per esportare c’è bisogno anche di importare, ma il resto del mondo, specialmente l’Europa e gli Stati Uniti che rappresentano i più grandi mercati cinesi, stanno entrando in un blocco totale e prolungato dell’economia, una situazione aggravata anche dalla crisi economica che questo blocco ha causato. Questa crisi avrà effetti pesanti e di lunga durata. È chiaro che le esportazioni cinesi rimarranno depresse per anni.

L’eredità del 2008

La disoccupazione nelle città ha ufficialmente raggiunto il 6,2% a febbraio, la più alta che il governo abbia mai ammesso. Il Financial Times scrive:

Secondo uno degli indici della China Merchants Bank che usa immagini satellitari per tracciare l’attività notturna dei camion, lunedì [9 Marzo] meno del 60% delle 143 più grandi industrie ubicate in tutto il paese avevano ripreso ad operare. G7 Networks, una start-up che raccoglie i dati GPS da circa il 20% degli autotrasportatori cinesi, ha rilasciato un bollettino quotidiano che mostra una ripresa rapida per i trasporti su camion, usati di solito dalle aziende più grandi, ma solo una ripresa parziale dei conto vendita e dei trasporti condivisi, che sono i metodi che tendono ad essere più usati dalle imprese più piccole. Confrontati con gli inizi di febbraio, quando questi dati sembravano “estremamente cupi”, le grandi consegne alle fabbriche e ai cantieri edili hanno raggiunto di nuovo il 60% del picco dei livelli di novembre. Ma le consegne alle imprese più piccole viaggiano a circa il 26% “non perché non ci siano autisti, ma perché non ci sono ordini” spiega Sun Fangyuan, un direttore del marketing della G7 Networks”. (Financial Times, 10.3.20)

Nel mezzo di questa crisi che si aggrava, si scopre che i mezzi con cui la Cina superò il 2008, lo “stimolo fiscale”, ha semplicemente spianato la strada a una crisi più estesa e distruttiva oggi, “la diminuzione dei mezzi per prevenire le [future] crisi” citando il Manifesto del partito comunista.

La prodigalità con la quale di è accumulato quel debito creato dallo stimolo fiscale sta rendendo vani gli sforzi odierni. Mentre il governo cinese offre prestiti vantaggiosi, la capacità di credito totale annunciata questa settimana era solo di 78 miliardi di dollari. Paragoniamolo alla Federal reserve negli Usa che pompa migliaia di miliardi di dollari nel sistema bancario in questa stessa settimana. Chen Yulu, il vicegovernatore della Banca Popolare Cinese, ha detto al Financial Times che la banca centrale ha intenzione di mantenere “la normale politica monetaria”, specificando che avrebbe “evitato l’introduzione di tassi negativi”. (Financial Times, 18.3.20)

L’aspettativa è quella di uno stimolo che arriverà quando l’economia uscirà finalmente dalla situazione di blocco totale (quando mai questo succederà), ma che questo sarà molto inferiore a quello nel 2008. Perché?

Il debito in Cina è circa il 310% del PIL. Prima del 2008 e dello “stimolo fiscale” era la metà. Questo è un problema globale – la Cina rappresenta l’80% della crescita del debito dei mercati emergenti dal 2008.

Lo stimolo può aver mantenuto la crescita economica, ma ha gettato le basi per la gravità della crisi imminente. Non è stato raggiunto con il metodo socialista di pianificazione e di soddisfazione dei bisogni, ma con i metodi capitalisti della speculazione e del credito. È stato compiuto principalmente dalle banche in mano allo stato cinese prestando soldi a governi locali e altre istituzioni perché fossero spesi nelle infrastrutture. Il risultato è stato che i cattivi debiti sono schizzati verso l’alto. Secondo Reuters nel 2019 “Ufficialmente il totale del credito in sofferenza delle banche commerciali cinesi è attorno a 1500 miliardi di yuan. Ma alcuni analisti sostengono che i crediti deteriorati siano 14 volte maggiori perché i creditori usano diversi metodi per nascondere le vere cifre.”

Qualsiasi nuovo stimolo fiscale dovrebbe essere di gran lunga maggiore di quello del 2008 per salvare l’economia oggi. Ma il sistema finanziario della Cina è già intasato da crediti deteriorati e un nuovo stimolo di grandi proporzioni andrebbe solo ad aggiungerne altri a questa montagna.

Per di più, il canale principale per lo stimolo fiscale fu il settore immobiliare nel 2008. Da allora, i governi locali hanno chiesto crediti ingenti alle banche statali cinesi per finanziare progetti infrastrutturali. Ecco come è stato portato avanti lo stimolo, ma la legge cinese proibisce loro di ripagare questo debito attraverso le tasse; quindi si sono finanziati vendendo terreni pubblici (spesso in maniera illegale dovendo prima sloggiare i contadini). Nel 2018 i governi locali hanno visto accrescere le loro entrate di quasi il 40% con la vendita dei terreni.

Un castello di carte

Le loro finanze precarie hanno quindi iniziato a dipendere dalla costante crescita del mercato delle proprietà e del prezzo dei terreni. Dovessero diminuire, potrebbe iniziare un’onda di default prima dei governi locali cinesi e poi delle banche. La Cina sarebbe l’epicentro della nuova crisi finanziaria.

La crisi che ci si presenta potrebbe portare proprio al crollo del mercato immobiliare. “La vendita di case nelle 30 città più grandi della Cina è precipitata di oltre l’80% nelle prime 3 settimane di febbraio se paragonata con lo stesso periodo dell’anno scorso…la compra-vendita di terreni viaggia a un quarto dei livelli medi precedenti.” (Financial Times, 10 marzo 2020)

La proprietà privata immobiliare è già molto alta. Il 90% delle famiglie ha almeno una proprietà; il 35% ne ha almeno due. Era molto difficile pensare a come la bolla del mercato potesse continuare a gonfiarsi già prima di questa crisi. È impossibile vedere come possa continuare a farlo adesso.

Questo spiega l’impossibilità cinese di salvare, questa volta, il mondo dall’orlo del baratro. Nessuna delle contraddizioni del 2008 è stata risolta. Il debito globale è ancora più alto di quanto non fosse nel 2007-8. Aggiungiamo a questo la rottura di rapporti internazionali: invece di emergere come il nuovo leader della globalizzazione e guidare tutti fuori dalla crisi, la Cina indugia in teorie del complotto che vedono il coronavirus come un invenzione dei militari degli USA. Non ci sarà una via d’uscita da questa crisi, da nessuna parte nel mondo. Non c’è via d’uscita sulle basi del capitalismo, come adesso la Cina sta scoprendo. Solo l’economia pianificata attraverso l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione ci tirerà fuori da questa crisi.

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