Il mondo nel 2022: la tempesta in arrivo

Il seguente articolo è basato su un discorso tenuto dal direttore di marxist.com, Alan Woods, all’Università Marxista Internazionale, tenutasi di recente e che ha avuto un enorme successo. La situazione mondiale è caratterizzata da guerre, caos e crisi a tutti i livelli, che portano alcuni a trarre conclusioni molto pessimistiche. In realtà, un vecchio ordine sta morendo mentre uno nuovo fatica a nascere. Lo vediamo con le esplosioni rivoluzionarie in Sri Lanka e altrove. Ciò che manca è una direzione rivoluzionaria e con le idee chiare che guidi la classe lavoratrice alla vittoria e al rovesciamento di questo sistema capitalista decadente.

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Quando andiamo ad analizzare la situazione attuale, sembra innanzitutto esistere una complicata rete di processi contraddittori. In apparenza, le tendenze principali si muovono nell’esatto opposto di una direzione rivoluzionaria.

Le menti impressioniste trarranno le conclusioni più pessimistiche. Ma sarebbe un errore basilare. Nell’analizzare gli eventi, non dobbiamo basarci sulle apparenze, ma addentrarci più in profondità per comprendere i processi sottostanti.

Gli strateghi del capitale sono incapaci di comprendere i processi reali in atto nella società perché sono empirici senza speranza che vedono solo la superficie degli eventi.

Si appellano costantemente ai “fatti”, ma sono incapaci di vedere i processi più profondi che stanno maturando silenziosamente sotto la superficie. Si fermano alla superficie delle cose senza coglierne la profondità.

Per loro il pensiero dialettico è un libro chiuso da sette sigilli. Ma occasionalmente, molto occasionalmente, arrivano a un’idea corretta. Consentitemi di citare il Financial Times del 28 giugno:

“Questa nuova epoca sta creando enormi sfide. È possibile, forse anche probabile, che il sistema mondiale vada in frantumi».

Se guardiamo solo alla superficie, questa previsione sembra improbabile. Ma se scaviamo più a fondo, è abbastanza corretta. Ed è proprio questo il nostro compito: scavare più a fondo, usando il metodo scientifico della dialettica.

Una delle leggi fondamentali della dialettica è la trasformazione della quantità in qualità, in cui una serie di piccoli cambiamenti apparentemente insignificanti alla fine raggiungono un punto critico in cui si verifica un salto di qualità. A un certo punto le cose si trasformano nel loro opposto.

È vero, le condizioni oggettive variano da un paese all’altro. Gli eventi possono muoversi rapidamente o a un ritmo più lento. Ma ovunque gli eventi si muovono nella stessa direzione: verso una maggiore instabilità e un’enorme intensificazione delle contraddizioni a tutti i livelli: economico, sociale, politico.

Soprattutto, stanno avvenendo cambiamenti significativi nella psicologia delle masse che stanno preparando la strada a grandi esplosioni sociali e politiche.

E una cosa è assolutamente certa. Cambiamenti bruschi e improvvisi sono impliciti nella situazione. L’abbiamo visto all’inizio dell’anno in Kazakistan e lo stiamo vedendo di nuovo ora in Ecuador e Sri Lanka.

Questi non sono eventi isolati. Assomigliano al fulmine di calore che annuncia l’arrivo di una tempesta.

La guerra in Ucraina

In ogni momento dobbiamo mantenere una salda presa sui processi fondamentali. Questo è particolarmente necessario quando si tratta della guerra.

In questo momento l’elemento dominante nella situazione mondiale è la guerra in Ucraina. C’è un vecchio detto: se giochi con il fuoco, è probabile che ti scotti.

Questo ottimo consiglio sembra essere stato dimenticato dalla borghesia e dai suoi strateghi. Ora stanno imparando questa lezione nel modo più duro.

Quale atteggiamento dovrebbero adottare i marxisti nei confronti della guerra? In primo luogo, non possiamo avere un atteggiamento sentimentale o moralistico, come fanno i pacifisti quando si lamentano che le guerre sono molto crudeli, che le persone vengono uccise, e così via.

Questi sono fatti innegabili. Ma che ci piaccia o no, è altrettanto innegabile che le guerre sono un dato di fatto, che si verificano a intervalli regolari nella storia umana, ed esprimono il fatto che alcune contraddizioni hanno raggiunto un punto critico in cui non possono essere risolte con mezzi “normali”, ma solo con la forza delle armi.

Questo vale tanto per la guerra tra le classi quanto per la guerra tra le nazioni. Per citare le parole brillanti e profonde di Clausewitz: la guerra è solo la continuazione della politica con altri mezzi.

Sì, le guerre sono affari sanguinosi e brutali. Ma a volte sono inevitabili. E servono anche ad accelerare i processi, portando tutte le contraddizioni a un punto critico. La situazione attuale non fa eccezione. Il conflitto ucraino è servito a definire nettamente tutte le tendenze esistenti.

Come ci si potrebbe aspettare, i socialdemocratici hanno subito abbracciato la causa dell’Ucraina, cioè dell’imperialismo della NATO e degli Stati Uniti. Questo non deve sorprendere nessuno.

I riformisti di destra sono semplicemente gli agenti della classe dominante tra le fila del movimento operaio. Riflettono fedelmente gli interessi dei banchieri e dei capitalisti, sia in tempo di pace che in tempo di guerra.

Ma cosa si può dire della “sinistra”? Sebbene possano parlare a “sinistra”, i riformisti di sinistra non hanno una posizione indipendente rispetto a quelli di destra. Questo perché, in ultima analisi, anche loro hanno accettato il sistema capitalista – solo che credono scioccamente che possa essere usato per servire gli interessi della classe lavoratrice.

Credono nella conciliazione tra le classi, non nella lotta di classe. Di conseguenza, difendono anche l’unità con gli agenti di destra del Capitale. Ciò è particolarmente vero nel contesto della guerra.

Come al solito, i riformisti di sinistra smidollati hanno inseguito la destra. Si sono innamorati della propaganda ipocrita degli imperialisti, piangendo lacrime di coccodrillo per i poveri ucraini.

Non capiscono il fatto evidente che in questa guerra gli ucraini sono solo pedine nelle mani dell’imperialismo statunitense – e nel caso del governo di Kiev, per giunta, pedine reazionarie.

In Germania, i più accaniti sostenitori della guerra sono i Verdi, i partner della coalizione di governo dell’SPD, che erano fortemente identificati con il movimento per la pace degli anni ’80.

Ora quei pacifisti piccolo-borghesi sono diventati i guerrafondai più rabbiosi e sono subito saltati nel campo della reazione imperialista.

Oh sì, le cose cambiano proprio nel proprio opposto!

E anche molte delle cosiddette sette trotskiste si sono arrese alla pressione dell’imperialismo e alla propaganda isterica dei media.

Ci è stato detto che Putin è il nostro nemico. Sì, Putin è il nostro nemico. Ma il compito di regolare i conti con Putin spetta alla classe operaia russa, e solo a lei.

Il nostro compito è combattere la nostra stessa borghesia e la nostra stessa classe dominante imperialista, non essere spinti – direttamente o indirettamente – a un’alleanza con loro, sulla base del fatto che dobbiamo combattere il malvagio Putin.

Per quanto malvagio possa essere, i gentiluomini di Washington e Londra sono mille volte più malvagi e controrivoluzionari. Le loro mani sono macchiate di molto più sangue.

Si davvero! La guerra è molto utile per mettere a nudo tutte le contraddizioni e smascherare senza pietà tutte le debolezze di coloro che affermano falsamente di sostenere le idee di Lenin e Trotskij.

Possiamo essere orgogliosi del fatto che la TMI non abbia perso la testa e abbia fermamente preso posizione contro le raffiche isteriche dei guerrafondai. Abbiamo mantenuto una solida posizione di classe. Non c’è assolutamente spazio tra le nostre fila per elementi deboli che si piegano sotto la pressione in tempo di guerra.

Dobbiamo sempre difendere con fermezza la politica di classe e sostenere il principio leninista di base: il vero nemico è in casa! Questo è il punto essenziale e non dobbiamo perderlo di vista per un solo istante.

Ipocrisia imperialista

È abbastanza divertente notare che, sebbene tutti sappiano che la NATO è controllata completamente dall’imperialismo statunitense, il suo volto pubblico non è mai quello di un americano.

È sempre un simpatico gentiluomo scandinavo, perché tutti sanno che gli scandinavi sono gente simpatica e pacifica che detesta la guerra o la violenza di qualsiasi tipo.

Jens Stoltenberg, il norvegese dalla faccia di bronzo che finge di essere il segretario generale di quell’organizzazione, non ha potuto nascondere la sua gioia quando ha annunciato che Svezia e Finlandia sarebbero subito entrate a far parte della NATO, dopo che la Turchia aveva ritirato le sue obiezioni.

Ma non ha spiegato perché la Turchia avesse ritirato queste obiezioni.

In realtà, questo è stato il risultato di un sordido affare con Erdogan.

Erdogan ha presentato alla NATO un ultimatum: gettare i curdi in pasto ai lupi, o dimenticatevi l’adesione di Svezia e Finlandia alla NATO.

Il portavoce del presidente Erdogan ha detto che “ha ottenuto ciò che voleva”.

Pochi giorni dopo, l’artiglieria turca ha bombardato una località turistica nel nord dell’Iraq, spesso usata dai curdi per sfuggire al caldo estivo. L’attacco ingiustificato a un obiettivo civile ha ucciso uomini, donne e bambini innocenti.

Ora, se queste fossero state le azioni dei russi in Ucraina, immaginate il grido: macellai! Mostri! Assassini di donne e bambini! Atrocità! Genocidio! Crimine di guerra! E tutto il resto.

Ma dov’era la condanna di Svezia e Finlandia, o di Washington e Londra? Non c’è stato assolutamente nulla. Non una parola di condanna. Solo un silenzio assordante: il silenzio cinico di una sfacciata complicità in un omicidio a sangue freddo.

Questa azione, in sé e per sé, mette in luce il completo cinismo e l’ipocrisia sia delle principali potenze imperialiste che dei piagnucoloni borghesi scandinavi che si nascondono dietro una falsa facciata di “democrazia”, ​​”neutralità” e “pacifismo” per coprire i loro crimini.

Sulla guerra

Naturalmente, è impossibile essere precisi sulla tempistica degli eventi. Ci sono troppe variabili in questa equazione. Non per niente Napoleone descrisse la guerra come l’equazione più complicata di tutte.

È certamente vero che all’inizio della guerra Putin ha commesso l’errore di credere che avrebbe preso Kiev in brevissimo tempo. Io stesso pensavo la stessa cosa, e non ero l’unico.

La CIA e il Pentagono avevano esattamente la stessa prospettiva, come dimostrato quando hanno offerto a Zelensky un elicottero per portarlo fuori dal paese.

Ma le cose sono andate diversamente. L’esercito ucraino, armato e addestrato dalla NATO, si è rivelato una forza combattente molto più seria di quella che era stata in passato. I russi hanno dovuto abbandonare i loro obiettivi originari e operare sulla base di un piano più realistico, vale a dire la conquista del Donbass.

Lo hanno fatto, avanzando lentamente ma inesorabilmente, conquistando un punto strategico dopo l’altro e infliggendo pesantissime perdite agli ucraini, che questi ultimi non possono sostenere all’infinito.

Un recente rapporto di funzionari dell’intelligence ucraina e occidentale rivela che gli ucraini stanno affrontando enormi difficoltà. Le truppe ucraine stanno subendo enormi perdite poiché i rapporti di forza sono di 20 a uno per l’artiglieria e 40 a uno per quanto riguarda le munizioni a favore dalle forze russe.

Secondo fonti ucraine, ogni giorno vengono uccisi circa 200 soldati ucraini, rispetto ai 100 della fine del mese scorso. Ciò significa che, se si includono i feriti, vengono tolti giornalmente dal campo dibattaglia fino a 1.000 ucraini.

Questa è una posizione insostenibile, soprattutto perché le perdite consistono principalmente in truppe esperte e temprate dalla battaglia, che vengono sostituite da coscritti non addestrati e scarsamente armati.

Secondo il rapporto, il peggioramento della situazione nel Donbass sta avendo “un effetto seriamente demoralizzante sulle forze ucraine”. Per la prima volta dall’inizio della guerra, ora c’è preoccupazione per le diserzioni e i soldati ucraini si rifiutano di obbedire agli ordini di andare in battaglia.

I russi hanno nel frattempo adattato le loro tattiche in modi che hanno permesso loro di sfruttare appieno la loro potenza di fuoco rimanendo a distanza dalle posizioni ucraine, colpendoli senza sosta, quindi occupando il territorio una volta che gli ucraini sono costretti a ritirarsi.

Più armi, prego!

Lo stesso rapporto di intelligence afferma:

“La situazione tattica sul fronte orientale è la seguente… la parte ucraina ha quasi completamente esaurito le scorte di missili, cosa che ha permesso di scoraggiare efficacemente le offensive russe nei primi mesi di guerra a distanze di [37-50 miglia].

“Oggi, la portata massima di tiro delle forze armate ucraine è di [15,5 miglia].

Zelensky grida ancora più forte per avere più armi e denaro.

Il ministro della Difesa ucraino Oleksiy Reznikov insiste sul fatto che le armi statunitensi cambieranno il corso della guerra. Afferma che consentiranno all’Ucraina di riprendersi il territorio occupato dalla Russia, incluso non solo il Donbass ma anche la Crimea.

Reznikov ha riportato che i funzionari occidentali della difesa gli hanno detto che il sostegno militare all’Ucraina “non si fermerà mai”.

Ma questo è tutto da vedere!

Gli Stati Uniti hanno donato miliardi di dollari in aiuti all’Ucraina. Ma questo rappresenta un gravissimo drenaggio di risorse, anche per il paese più ricco della terra. Tutte le chiacchiere sulla fornitura di nuove armi non vengono seguite dai fatti. Gli uomini di Kiev non hanno potuto nascondere la loro frustrazione e delusione.

Funzionari ucraini si lamentano di aver bisogno di molto di più per fermare l’avanzata russa, per non parlare del riprendere il territorio perduto, e che ci vorrà del tempo per schierare nuovi sistemi militari in prima linea, come i dodici M142 HIMARS di fabbricazione americana, mentre il Cremlino continua la sua feroce offensiva nel Donbass.

“Siamo, ovviamente, molto grati ai nostri alleati per il loro sostegno”, ha detto un funzionario ucraino. “Le nuove armi sono le benvenute, ma quando annunciano che stanno inviando aiuti militari in Ucraina, i governi occidentali dovrebbe forse chiarire al pubblico le quantità coinvolte”.

Gli armamenti occidentali appena promessi stanno arrivando, ma troppo lentamente e in quantità insufficienti per impedire inesorabili conquiste russe nella regione orientale ucraina del Donbass.

Iniziano ad emergere le spaccature

Sul piano militare, Kiev sta perdendo terreno. Nel frattempo, gli Stati Uniti e i loro alleati non riescono nemmeno a mettersi d’accordo sui reali obiettivi della guerra. Un recente articolo del presidente Biden ha definito come l’obiettivo principale dell’America sia la conservazione di un’Ucraina libera e indipendente. Ma questo obiettivo non è condiviso dai suoi principali alleati europei, Francia e Germania.

Quelli che si preoccupano maggiormente della guerra tra Russia e Occidente puntano al fatto che Mosca non vinca. Temono che spingere per la vittoria totale dell’Ucraina possa portare a un conflitto diretto tra Russia e Occidente o all’uso di armi nucleari russe.

Francia e Germania fanno parte di questo campo. Olaf Scholz, il cancelliere tedesco, ha spesso affermato che la Russia non deve vincere, ma non ha mai detto che debba vincere l’Ucraina. Gli Stati Uniti, in particolare, sono da qualche parte nel mezzo, cercando di bilanciare la loro risposta a entrambe le minacce, poiché forniscono la maggior parte degli aiuti militari all’Ucraina.

Gli americani hanno deciso di non inviare artiglieria che possa colpire all’interno della Russia perché potrebbe somigliare troppo a un attacco diretto degli Stati Uniti. (Nel frattempo, la consegna di armi pesanti dalla Germania continua a subire ritardi).

Si stanno aprendo spaccature sia all’interno degli Stati Uniti che tra gli Stati Uniti e i suoi alleati europei.

Nel frattempo, tutti, compresi Scholz e il presidente francese Macron, concordano (almeno pubblicamente) sul fatto che non verrà imposto alcun accordo di pace all’Ucraina.

Ma la preoccupazione degli ucraini è che saranno di fatto costretti a cedere territorio perché non riceveranno armi abbastanza potenti da impedire alla Russia di avanzare sul campo di battaglia.

Anche se l’amministrazione Biden ha annunciato ulteriori aiuti all’Ucraina, alla Casa Bianca sono stati espressi dubbi sulle prospettive della guerra.

Secondo la CNN: “I consiglieri di Biden hanno iniziato a discutere internamente come e se Zelensky dovrebbe modificare la sua definizione di ‘vittoria’ ucraina, adattandosi alla possibilità che l’estensione territoriale del suo paese sia irreversibilmente ridotta”.

Crisi economica

E questa non è la fine dei guai di Kiev. Secondo il Financial Times: “La crisi fiscale dell’Ucraina sta peggiorando a causa del crollo dell’attività economica. Solo nel mese di giugno la banca centrale ha bruciato il 9,3% delle sue riserve valutarie”.

“Oleg Ustenko, consigliere economico di Zelensky, afferma che il Paese ha ora bisogno di 9 miliardi di dollari al mese dall’occidente per colmare il suo deficit di budget. In precedenza aveva chiesto tra i 5 e 6 miliardi di dollari“.

“Senza il sostegno finanziario dei nostri alleati”, aggiunge Ustenko, “non sarà [solo] difficile, ma sarà quasi impossibile”.

Il FT riporta inoltre che “gli Stati Uniti hanno fatto arrivare 4 miliardi di dollari in aiuti economici a Kiev e prevedono di distribuire altri 6,2 miliardi di dollari entro settembre”. Ma quando questo si esaurirà, non è affatto chiaro se questa generosità si ripeterà. E i borghesi europei sono ancora meno entusiasti di buttare soldi per riempire un buco nero.

Kiev afferma di aver bisogno di 5 miliardi di dollari al mese di aiuti per prevenire un default ucraino dovuto a una scadenza del debito estero di 900 milioni di euro a settembre. Questo ora sembra inevitabile.

Ad aprile, l’Unione europea ha promesso 9 miliardi di euro, anche se all’interno del blocco c’era attrito sul fatto che il denaro dovesse essere fornito come sovvenzioni o come prestiti.

Ma ad oggi l’UE è riuscita a trovare solo 1 miliardo di euro del suo impegno e non sembra avere fretta di inviare il resto. Non sorprende. La Germania, la principale potenza economica della UE, è contraria.

Zelensky richiede costantemente più armi e più denaro. Senza dubbio le armi occidentali, in particolare i sistemi missilistici HIMARS, stanno avendo un certo impatto. Si dice che abbiano fatto saltare in aria alcuni depositi di armi russe e abbiano aiutato un’offensiva ucraina su Kherson facendo saltare in aria i ponti.

Potrebbe essere così. Resta da vedere fino a che punto queste affermazioni siano esagerate per motivi di propaganda. In ogni caso, la spinta ucraina contro Kherson è chiaramente una manvra diversiva per allontanare le forze russe dal fronte principale del Donbass. In questo, è improbabile che abbiano successo.

La presenza di alcune nuove armi del Pentagono potrebbe causare grattacapi indesiderati ai russi. Ma non possono cambiare il fatto consolidato della schiacciante superiorità della Russia in termini di potenza di fuoco, o impedire loro di continuare ad avanzare, lentamente ma inesorabilmente, verso il controllo dell’importante regione del Donbass.

Inquietudine negli Stati Uniti

Ci sono già segnali che il Congresso statunitense potrebbe essere meno desiderso di sostenere l’Ucraina, dopo mesi di sostanziose spese militari. Non poche persone a Washington stanno già diventando sospettose dell’intera faccenda. E i dubbi vengono espressi apertamente ad alto livello.

In un articolo pubblicato il 13 giugno, intitolato “Con miliardi di dollari che vanno in Ucraina, i funzionari avvertono di potenziali frodi e sprechi“, il Wall Street Journal riporta:

“Anche se non sono emersi casi di illeciti, funzionari in carica e precedenti affermano che è probabilmente solo una questione di tempo”.

E l’opinione pubblica si sta rivoltando contro la guerra, come si è rivoltata contro l’amministrazione Biden in generale. Un nuovo sondaggio rileva che più americani credono che:

• Le sanzioni danneggiano gli Stati Uniti più che la Russia (dal 56% al 42%)

• “è giusto che gli Stati Uniti lascino che l’Ucraina perda contro la Russia” (dal 45% al ​​40%)

• Sarebbe “meglio” far uscire Biden dalla Casa Bianca piuttosto che Putin dal Cremlino (dal 56% al 43%)

In effetti, solo circa un terzo degli americani sostiene la politica di Biden sull’Ucraina.

Inoltre, un recente sondaggio ha rilevato che il 58% degli elettori disapprova le politiche di Biden e il 39% approva.

Le sanzioni funzionano?

Sono passati ormai quattro mesi da quando l’Occidente ha lanciato la sua guerra economica contro la Russia e non sta andando secondo i piani. In effetti, secondo Reuters, “la Russia potrebbe ottenere maggiori entrate ora dai suoi combustibili fossili rispetto a poco prima della sua invasione dell’Ucraina [perché]… Gli aumenti dei prezzi globali compensano l’impatto degli sforzi occidentali per limitarne le vendite”.

In ogni caso, le sanzioni occidentali non sono riuscite a impedire la vendita di petrolio e gas russi. Per citare solo un esempio: a maggio l’Italia ha ricevuto circa 400.000 barili di petrolio russo al giorno. Questo equivale a quattro volte il livello pre-invasione.

“Allo stesso tempo”, secondo Reuters, “la Russia ha potuto vendere più quantità ad altri acquirenti, inclusi i principali consumatori di energia, in particolare Cina e India, offrendolo scontato rispetto a quello proveniente da altri. […] Gli acquisti di petrolio russo da parte dell’India sono più che raddoppiati a maggio rispetto al mese precedente, raggiungendo un livello record superiore ai 840.000 barili al giorno”, e probabilmente aumenteranno ulteriormente.

Allo stesso tempo, “la Russia ha limitato l’esportazione dei gas (elio, neon ecc.) necessari per la produzione di microchip e questo potrebbe avere un impatto negativo sulle aziende di paesi come Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud e Paesi Bassi”, scrive The Economic Times.

L’articolo spiega che:

“I mercati mondiali dipendono fortemente dalle forniture russe che garantiscono fino al 30% del consumo di neon”. E senza neon, argon ed elio russi, “sarà più difficile per alcuni paesi produrre componenti elettronici”, il che significa che la Russia potrà esportare questi gas in cambio dell’importazione di semiconduttori.

Gli Stati Uniti e la Cina

Un effetto molto importante della guerra è stato quello di spingere la Cina a un’alleanza più stretta con la Russia. In passato le tensioni tra USA e Cina avrebbero già portato alla guerra. Ciò è escluso dall’effettivo equilibrio delle forze. Ma le tensioni tra Usa e Cina sono destinate ad aumentare in continuazione.

Ora la seconda economia più grande del mondo, la Cina, rappresenta circa la metà del disavanzo commerciale netto dell’America. Trump ha imposto dazi punitivi sulle merci cinesi, ma questo si è rivelato controproducente. Ora Biden vuole rimuoverli, ma sia i democratici che i repubblicani vedono ancora la Cina come il principale nemico.

In totale, secondo Harvard Business Review, “lo stato cinese e le sue società partecipate hanno prestato circa 1,5 mila miliardi di dollari in prestiti diretti e crediti commerciali a più di 150 paesi in tutto il mondo.

“Questo ha trasformato la Cina nel più grande creditore ufficiale a livello mondiale, superando i tradizionali istituti di credito ufficiali come la Banca mondiale, il FMI o tutti i governi creditori dell’OCSE messi insieme… La maggior parte dei prestiti cinesi ha contribuito a finanziare investimenti su larga scala in infrastrutture, energia e miniere”.

La potenza crescente della Cina si manifesta nel tentativo di rafforzare la sua posizione di potenza dominante in Asia. Washington ha avvertito che gli Stati Uniti sarebbero pronti a inviare truppe a Taiwan per impedire che passi in mani cinesi, una dichiarazione che Pechino vede come una provocazione, poiché considera Taiwan come parte della Cina.

Ora che l’attenzione dell’America si è fissata sulla Russia, crescono i timori che la Cina possa essere tentata di fare una mossa su Taiwan. Ciò ha provocato una reazione nervosa a Washington, che ha trovato espressione nel vertice della NATO a Madrid.

L’elemento più significativo è stato di aver dichiarato il suo atteggiamento verso la Cina. Per la prima volta la NATO ha elencato la Cina come una delle sue priorità strategiche, affermando che le ambizioni di Pechino e le sue “politiche coercitive” sfidano “gli interessi, la sicurezza e i valori” del blocco occidentale.

“La Cina sta sostanzialmente rafforzando le sue forze militari, comprese le armi nucleari, facendo la prepotente con i suoi vicini, minacciando Taiwan… monitorando e controllando i propri cittadini attraverso tecnologie avanzate e diffondendo bugie e disinformazione russe”, ha detto ai giornalisti il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg.

Ma si è affrettato ad aggiungere: “La Cina non è il nostro avversario… ma dobbiamo avere una consapevolezza chiara sulle gravi sfide che rappresenta”.

Dopodichè, non ha nemmeno riso.

L’unità fra le nazioni si trasforma nel suo opposto

Con l’aggravarsi della crisi, la questione ucraina, lungi dall’essere un’iniziativa unificante dei singoli paesi, si trasformerà in una questione politica divisiva, esacerbando le tensioni sociali e politiche, sia all’interno che tra i diversi paesi.

Il sostegno iniziale alla causa ucraina, che ha incentivato una spinta all’unità nazionale, si trasformerà inevitabilmente nel suo opposto.

Gli imperialisti non vogliono essere visti in pubblico mentre esercitano pressioni su Zelensky per concludere un accordo con Mosca. Ma possiamo essere certi che dietro le quinte si stanno svolgendo trattative frenetiche.

Prima o poi, la Russia otterrà il pieno controllo del Donbass. A quel punto Putin potrebbe dichiarare vittoria ed esigere la pace a condizioni favorevoli a Mosca. La borghesia europea è sotto la pressione dalla stretta della Russia rispetto all’energia e spingerà Kiev a raggiungere un accordo.

Ma Kiev ha già rifiutato l’idea di un ppossibile piano di pace mediato da Francia e Germania. Questa proposta ha fatto avere uno scatto di nervi a Kiev. Un portavoce del governo ha avvertito di una svendita: “Diranno che dobbiamo fermare la guerra che sta causando problemi alimentari e problemi economici”.

Questo è proprio quello che diranno. In privato lo stanno già dicendo. E alla fine, questo è ciò che accadrà.

Basta guardare i fatti. Gli americani possono permettersi di sparlarle grosse riguardo al boicottaggio del petrolio e del gas russi. Ma hanno le loro provviste. L’Europa no.

La Germania è fortemente dipendente dal gas russo. Così, i russi hanno deciso di spremerli un po’ per far vedere chi comanda: l’uomo al Cremlino si fa una bella risata sulla Germania, dove il governo si dimena come un pesce preso all’amo.

Se questo inverno i russi interromperanno le forniture di gas alla Germania, il risultato sarà una catastrofe economica. Un improvviso arresto delle forniture di gas dalla Russia porterebbe a un crollo del 12,5% nell’economia tedesca.

Sarebbero interessati 5,6 milioni di posti di lavoro in tutta la Germania. In molti settori, come quello siderurgico, ma anche nell’importante industria del vetro, se i forni restassero spenti per un periodo prolungato, gli impianti sarebbero gravemente danneggiati e ci vorrebbero mesi per riavviarli.

Nel complesso, ciò significherebbe perdite per 193 miliardi di euro in soli sei mesi. Non c’è da stupirsi che vogliano un accordo! Se non ci si arrivasse, le conseguenze sociali e politiche sarebbero enormi, e non solo per la Germania.

Per citare le parole di Scholz: “L’aumento dei prezzi dell’energia mette in pericolo la sicurezza e la stabilità in molti paesi”.

Che cosa si deve fare?

Abbiamo sottolineato che questa è una guerra reazionaria da entrambe le parti. Non possiamo appoggiare nessuno delle due parti in conflitto. Né possiamo avere alcuna influenza significativa sul corso degli eventi.

Il nostro compito, per usare lo slogan di Lenin, è spiegare pazientemente ai lavoratori e ai giovani più avanzati, esporre senza compromessi la propaganda menzognera dei guerrafondai e attaccare e denunciare la nostra stessa classe dominante.

Non è possibile prevedere l’esito preciso della guerra. Sono possibili vari scenari. Ma il risultato significherà inevitabilmente maggiore instabilità e una crisi sempre più profonda. Se la Russia perde, significherà il crollo di Putin e l’inizio di una rivoluzione in Russia. Ma se la Russia vincerà, sarà un duro colpo per l’imperialismo e il riformismo di destra in Occidente.

Entrambi i risultati avrebbero conseguenze rivoluzionarie.

Economia mondiale

I titoli dei giornali stanno dipingendo un quadro cupo. Il nervosismo della borghesia trova la sua espressione nella volatilità dei mercati azionari mondiali.

La turbolenza nella politica mondiale è accompagnata dalla turbolenza nei mercati. L’aumento dei tassi ha fatto precipitare le azioni americane. Lo S&P 500 è sceso di un quinto dall’inizio dell’anno. Non vedeva scambi così scarsi dal 1962. Le oscillazioni selvagge delle borse dimostrano esattamente quanto la situazione sia andata fuori controllo per le banche centrali. La conseguenza più probabile sarà una recessione globale.

Negli Stati Uniti, l’inflazione ha raggiunto il record da 40 anni a questa parte e rimane ostinatamente alta. Nella zona euro, l’inflazione è salita a oltre l’8%, in gran parte trainata dagli alti prezzi del gas. L’economia britannica sta già avviandosi verso una recessione entro la fine dell’anno.

Altri paesi europei affrontano gli stessi problemi, se non peggiori, poiché la maggior parte di loro dipende dal gas russo più che il Regno Unito. Di conseguenza, le fabbriche chiuderanno, le imprese falliranno, gli investimenti saranno soffocati e la disoccupazione aumenterà drasticamente.

I livelli del debito pubblico e privato sono oggi molto più elevati che in passato come percentuale del PIL mondiale, essendo passati dal 200 per cento nel 1999 al 350 per cento di oggi. Una combinazione tra inasprimento della politica monetaria e aumento dei tassi di interesse porterà le famiglie, le aziende, le istituzioni finanziarie e i governi al fallimento e all’insolvenza a causa del loro indebitamento.

Nouriel Roubini, noto economista borghese, riassume abbastanza bene la situazione:

“Questa volta anche lo spazio per l’espansione fiscale sarà più limitato. La maggior parte delle munizioni fiscali è stata già utilizzata e i debiti pubblici stanno diventando insostenibili…

“Le cose andranno molto peggio prima di migliorare.”

Il “Terzo mondo”

La guerra in Ucraina ha provocato shock economici non solo in Europa, ma anche nei paesi poveri del Medio Oriente, dell’Asia e dell’America Latina. Per questi paesi, la prospettiva è un incubo.

I prezzi delle principali colture alimentari sui mercati mondiali sono aumentati di quasi il 40 per cento negli ultimi cinque mesi. Di conseguenza, “44 milioni di persone in 38 paesi sono secondo l’ONU a livelli emergenziali di fame”. Di fronte alla scelta di sfamare le loro popolazioni o di pagare i loro creditori internazionali, i governi opteranno per la prima.

Terrorizzati dalle conseguenze sociali e politiche della scarsità di cibo, gli imperialisti dovranno intervenire, mediando un accordo traballante attraverso l’ONU e la Turchia per consentire l’esportazione di grano sia ucraino che russo. Ciò fornirà un po’ di aiuto all’Ucraina, ma è molto più utile alla Russia.

Resta da vedere se questo accordo funzionerà e, in tal caso, per quanto tempo. Ma in ogni caso, le turbolenze sociali e politiche legate alla scarsità di cibo e all’aumento dei prezzi hanno già iniziato a provocare sviluppi rivoluzionari.

Sri Lanka

La crisi economica ha creato enormi disordini sociali e politici in Sri Lanka. Questo ci mostra quanto velocemente possa svilupparsi una situazione rivoluzionaria.

Il movimento di massa era già riuscito a costringere alle dimissioni il presidente Gotabaya Rajapaksa, costretto a fuggire a Singapore. Ma quando le masse si sono rese conto che si preparava un complotto per insediare il primo ministro, Ranil Wickremesinghe, come presidente ad interim, ha provocato un’insurrezione.

Il presidente ad interim ha dichiarato lo stato di emergenza e ha ordinato all’esercito di reprimere il popolo che è stato accolto con una raffica di gas lacrimogeni e cannoni ad acqua. Ma niente avrebbe potuto fermare quello tsunami umano.

Se si desidera vedere com’è una rivoluzione, basta guardare la meravigliosa insurrezione in Sri Lanka. Qui vediamo il colossale potenziale delle masse. Se qualcuno dubitava della capacità delle masse di fare una rivoluzione, questa è stata una risposta clamorosa.

Gli eventi in Sri Lanka meritano un esame più attento. Ciò che mostrano è che, quando le masse perdono la paura, nessuna repressione può fermarle.

Senza leadership, organizzazione e programma chiaro, le masse sono scese in piazza e hanno rovesciato il governo. Ma lo Sri Lanka ci mostra anche qualcos’altro.

Senza una guida corretta, la rivoluzione non può avere successo. Il potere era nelle mani delle masse, ma gli è scivolato dalle dita.

Il mancato rovesciamento del governo ha consentito a Ranil Wickremesinghe di manovrare in parlamento per riprendere l’iniziativa, reprimendo le proteste nel tentativo di ristabilire l’ordine.

Il potere era nelle strade, in attesa che qualcuno lo raccogliesse. Sarebbe stato sufficiente per i leader delle proteste dire: “Ora abbiamo il potere. Noi siamo il governo”. Ma quelle parole non sono mai state pronunciate.

Le masse hanno lasciato tranquillamente il palazzo presidenziale e al vecchio potere è stato permesso di tornare. I frutti della vittoria sono stati restituiti ai vecchi oppressori e ai ciarlatani parlamentari. Questa è una verità sgradevole. Ma è la verità.

Tuttavia, ciò non significa che la rivoluzione sia finita. L’insurrezione in Sri Lanka non è finito. I problemi economici e sociali di fondo che hanno spinto le masse ad agire non sono stati rimossi.

La rivoluzione riemergerà a un livello ancora superiore. Ma prima affronterà un periodo ben più difficile e doloroso con molti più sacrifici.

“Una cascata di default”

Lo Sri Lanka è stato il primo paese dall’inizio della guerra in Ucraina a non pagare i propri debiti, ma è improbabile che sia l’ultimo. Bloomberg avverte che “una cascata di insolvenze di proporzioni storiche sé in arrivo per i mercati emergenti”.

Più di 19 paesi, con una popolazione di oltre 900 milioni di persone, hanno livelli di indebitamento tali da indicare che esiste una reale possibilità di default. L’elenco dei paesi comprende El Salvador, Ghana, Tunisia, Egitto, Pakistan, Argentina e Ucraina. Il loro debito combinato ammonta a 237 miliardi di dollari.

Il Pakistan è un caso estremo. Secondo un rapporto di Michael Rubin, un membro esperto della rivista National Interest che ha sede a Washington: “Mentre molti paesi dipendono dal grano ucraino o russo o dalle importazioni di energia straniera, il Pakistan necessita di entrambi. Tra luglio 2020 e gennaio 2021, ad esempio, il Pakistan è stato il terzo consumatore di grano ucraino dopo l’Indonesia e l’Egitto”.

Il rapporto continua:

“Il picco dei prezzi del petrolio ha colpito duramente il Pakistan, facendo aumentare solo tra il 2020 e il 2021 il costo delle sue importazioni di oltre l’85%, a quasi 5 miliardi di dollari. Alla fine dell’anno fiscale del Pakistan, il 30 giugno 2022, il suo deficit commerciale si è avvicinato ai 50 miliardi di dollari, con un aumento del 57% rispetto all’anno precedente”.

Questa è una situazione catastrofica. Ha prodotto una spaccatura aperta nella classe dominante e la caduta del governo di Imran Khan. La posizione disperata delle masse sta preparando la strada a un’esplosione sociale simile a quella dello Sri Lanka. Questa è una ricetta bell’e pronta per la lotta di classe e persino per un’esplosione rivoluzionaria come quella del 1969.

Questo ci fornisce un quadro molto accurato di ciò che accadrà in un paese dopo l’altro. Vedremo un’enorme intensificazione della guerra di classe e una situazione gravida di possibilità rivoluzionarie.

Questa, e solo questa, è la cosa più importante da una prospettiva marxista.

Gli Stati uniti

La crisi colpisce tutti i paesi, dai più poveri ai più ricchi. L’inflazione negli Stati Uniti è ora di circa il 9%. La più alta in 40 anni. E c’è una potente corrente sotterranea di malcontento. Biden ha tentato di usare l’Ucraina come distrazione. Ma ha fallito. L’85% degli americani afferma che il Paese è sulla strada sbagliata.

Il problema è l’assenza di un punto di riferimento coerente. Data questa assenza, l’unico punto del genere è Donald Trump. Il Financial Times presenta un quadro cupo: “I Democratici rischiano di essere decimati nelle elezioni di medio termine del novembre di quest’anno, che condurrà nel 2024 a una rivincita veramente deprimente tra Biden e Trump”.

Ma l’esperienza di un’amministrazione Trump in condizioni di crisi capitalista lo ucciderà politicamente. Servirà ad approfondire tutte le contraddizioni, come abbiamo già visto quando la sentenza della Corte Suprema riguardo la “Roe contro Wade”, ha portato con un semplice tratto di penna ad un effettivo divieto del diritto all’aborto in molti Stati e ne minaccia il diritto in tutto il paese.

Lo spettacolo di un corpo non eletto di giudici reazionari che decide il destino di milioni di donne ha provocato un’ondata di proteste e manifestazioni di piazza. Questo è solo un altro esempio del fatto che non manca materiale infiammabile nella società statunitense, ma si sta solo aspettando una scintilla per innescare una conflagrazione.

La classe operaia comincia a risvegliarsi dopo un periodo più o meno dormiente. Dovrà nuovamente imparare molte lezioni, anche elementari, come la necessità di organizzarsi nei sindacati. Marx diceva che la classe operaia senza organizzazione è solo materia grezza per lo sfruttamento.

A causa del fallimento dei dirigenti sindacali nell’organizzare i lavoratori, la nuova generazione di giovani lavoratori si ritrova ad essere poco più che materia grezza. Si ritrovano a lavorare in moderne macchine di sfruttamento chiamate call center, o in Amazon, dove sono soggetti a uno sfruttamento brutale, lunghi orari e paghe scadenti.

Il tentativo compiuto recentemente di sindacalizzare i lavoratori di Amazon e Starbucks è quindi un enorme passo avanti. C’è stata una serie di scioperi negli Stati Uniti, che indica l’inizio precoce di una rinascita sul fronte sindacale. E c’è l’inizio di un cambiamento anche nei sindacati: tra i Teamster e gli Auto Workers.

Tutto questo comincia a preoccupare gli strateghi del Capitale. La domanda si pone apertamente: può esserci una nuova guerra civile negli Stati Uniti? In effetti, ci sono stati diversi libri su questo argomento, come How Civil Wars Start: And How to Stop Them di Barbara Walter.

Un recente sondaggio dell’Università di Chicago ha mostrato che il 28 per cento degli americani afferma di avere così poca fiducia nel proprio governo che potrebbe “presto essere necessario prendere le armi” contro il governo.

Il 37% dei possessori di armi è pronto a ribellarsi e la maggioranza afferma che il sistema è “corrotto e truccato” contro di loro. Ciò che questo mostra è il crescente senso di alienazione della gente comune dallo status quo e dell’odio e della sfiducia nei confronti dell’establishment, sia democratico che repubblicano.

Che questo porterà o meno a una guerra civile in tempi brevi sembra essere una valutazione piuttosto impressionistica, cioè più il riflesso di una testa calda, motivata dal panico, piuttosto che un’analisi razionale.

Ma che i semi di una futura guerra civile vengano gettati in questo momento è del tutto possibile. Più correttamente, i semi di una potente esplosione sociale vengono gettati e inevitabilmente cresceranno in una determinata fase.

Si stanno creando le condizioni per l’emergere di un’intera nuova generazione di combattenti rivoluzionari. E prevedo che alcuni dei rivoluzionari più determinati verranno dalle fila dei sostenitori disillusi di Trump.

Polarizzazione

La caratteristica principale della situazione attuale è un’estrema polarizzazione tra ricchi e poveri. Questa non è mai stata così grande in tutta la storia.

Ci sono potenti forze centrifughe che stanno facendo a pezzi il consenso esistente e minacciano il tessuto stesso della vita sociale. Ma ci sono anche potenti forze che stanno tirando nella direzione opposta.

La tendenza nota come “centro politico” agisce come una sorta di collante che tiene insieme questo tessuto. Ma ora questo centro è sotto pressione come mai prima d’ora. La principale paura della classe dominante è che questo tremendo conflitto si concluda con la distruzione di questo centro politico.

E ci sono chiari sintomi che indicano che questo processo distruttivo è già iniziato negli Stati Uniti. Vediamo esattamente lo stesso processo in Europa.

Italia

Di fronte a tutti questi problemi, l’ultima cosa di cui l’Europa ha bisogno è uno sconvolgimento politico e delle spaccature. Ma questa è l’immagine che vediamo ovunque. Si diceva che la Grecia fosse l’anello più debole della catena del capitalismo europeo. Ma quell’onore è ora riservato all’Italia.

Il debito pubblico della Grecia è ora al 186% del PIL. Questo è esattamente uguale a quello che ha portato alla crisi prima che la Grecia ne riemergesse, tranne per il fatto che, con l’inflazione alle stelle, la BCE non può più stampare denaro per sfuggirvi.

Ma l’Italia non è la Grecia. La crisi in Italia rappresenta una minaccia mortale dato che è una delle maggiori economie dell’eurozona.

Il debito pubblico italiano si attesta ora a circa il 150 per cento del suo PIL. Questo è insostenibile. Ma per ridurlo saranno necessari profondi tagli alla spesa pubblica. La borghesia italiana ha bisogno di un governo forte per portare avanti un attacco alla classe operaia. Ma è impossibile ottenere un governo di coalizione stabile.

La caduta di Draghi in Italia è un ulteriore segnale di instabilità politica. Un crollo finanziario in Italia rappresenterebbe una seria minaccia per l’eurozona in un momento in cui l’aumento dei tassi di interesse rende più difficile il finanziamento dei debiti.

Francia

Processi simili sono in atto in Francia. Emmanuel Macron, l’incarnazione stessa del “Centro”, sta perdendo la stretta sul potere. Il popolo francese ha inflitto un duro colpo a Macron, togliendogli la maggioranza alle elezioni legislative.

Meno di due mesi dopo essere stato rieletto presidente, Macron ha perso il controllo dell’Assemblea nazionale. Aveva invitato gli elettori a fornire una solida maggioranza. Ma la sua coalizione centrista ha subito una disfatta totale in un’elezione che ha lasciato la politica francese fortemente polarizzata.

Marine Le Pen del Rassemblement National ha guadagnato terreno a spese del Centro. Ma è stato il blocco di sinistra (Nupes) di Jean-Luc Mélenchon, che include ciò che resta del Partito socialista, dei comunisti e dei verdi, a ottenere i maggiori guadagni. Resta da vedere cosa farà della sua vittoria. Ma quello che è chiaro è che il centro politico in Francia sta crollando davanti ai nostri occhi.

Il governo Macron è debole. Dovrà affrontare un’enorme pressione sia da sinistra che da destra. Sarà un governo di crisi fin dall’inizio. Il dato più significativo è stato l’alto livello di astensione: 53 per cento al primo turno e 56 per cento al secondo. Questa è una chiara indicazione del crollo del sostegno ai partiti esistenti, un’estrema alienazione dallo status quo.

Marx diceva che la Francia era il paese in cui la lotta di classe si combatte sempre fino alla fine. Il palcoscenico è pronto per un’esplosione della lotta di classe in Francia, dove i lavoratori hanno una lunga tradizione di scendere in piazza.

La situazione attuale è del tutto senza precedenti. Alcuni parlano di un revival del movimento dei Gilet gialli. Ma la rabbia che si è accumulata e l’odio per Macron sono talmente grandi che una nuova edizione del 1968 è del tutto possibile.

Una grande differenza con il 1968 è il completo crollo del Partito Comunista. Gli stalinisti non possiedono nulla che assomigli lontanamente all’autorità che avevano in passato. Non saranno in grado di frenare il movimento una volta che questo si è avviato.

E come nel 1968, può accadere senza alcun preavviso. Dobbiamo essere preparati.

Gran Bretagna

La fine del governo di Boris Johnson è stata semplicemente un riflesso della crisi sempre più profonda del capitalismo britannico. La Gran Bretagna, un tempo il paese più stabile d’Europa, è forse diventato il più instabile. La situazione è diventata sempre più convulsa – politicamente, economicamente e socialmente.

C’è un chiaro processo di radicalizzazione – e non solo nei giovani, che rimangono il nostro principale campo di lavoro. Gli attacchi inevitabili si esprimeranno in una riattivazione delle lotte sul fronte sindacale.

In Gran Bretagna, dove il livello degli scioperi era storicamente basso, ora abbiamo dopo 30 anni, il primo sciopero nazionale dei ferrovieri in cui hanno scioperato 40.000 lavoratori delle ferrovie. E gli insegnanti e altri lavoratori del settore pubblico a bassa retribuzione minacciano di seguire il loro esempio.

Accanto ai lavoratori delle ferrovie, abbiamo assistito a iniziative sindacali da parte dei lavoratori del trasporto pubblico, dei netturbini, degli aeroportuali, dei lavoratori edili e delle poste. Sono in mobilitazione dipendenti pubblici, insegnanti, docenti e persino avvocati.

La classe dominante britannica si sta preoccupando che la combinazione di bassi salari e inflazione provochi un’esplosione di scioperi, in particolare nel settore pubblico, e si sta preparando a una battaglia contro i ferrovieri, che hanno un sindacato tradizionalmente combattivo.

I timori della borghesia si sono espressi in un recente articolo del Financial Times del 18 giugno:

Un ministro ha affermato che il governo stava camminando su un “filo sottile” per mantenere bassi i salari ed evitare una spirale inflazionistica senza costringere allo sciopero diversi settori:

“Se sbagliamo, rischiamo di trovarci di fatto in uno sciopero generale che creerà ulteriori turbolenze che rischiano di fermare l’intera economia”.

Questo aprirà grandi possibilità per il lavoro della Tendenza marxista nei sindacati.

Anche in Germania c’è la prospettiva di una ripresa sul fronte delle lotte sindacali

Nei prossimi sei mesi sono previste tre grandi contrattazioni collettive – nell’industria metallurgica ed elettrica, nel settore chimico e nel settore pubblico – per un totale di circa 7 milioni di lavoratori.

L’aumento del costo della vita e la minaccia di un collasso sociale sollevano lo spettro di proteste di massa diffuse nelle piazze.

Russia

Come ho detto molte volte riguardo alla Russia, se il Partito Comunista fosse un vero Partito Comunista, non ci sarebbero problemi. Questo è certo. Ma sotto Zyuganov, il PCFR svolge un ruolo simile a quello dei socialdemocratici riformisti in Occidente: la leale opposizione a Sua Maestà. Sono il principale sostegno per mantenere Putin al potere.

Nella fase iniziale della guerra, ci sono state una serie di proteste contro la guerra. Ma la principale debolezza del movimento contro la guerra in Russia è che è controllato dai liberali borghesi.

Putin può non piacere ai lavoratori russi, ma questi ultimi odiano l’imperialismo statunitense e la NATO, che giustamente vedono come una minaccia. I lavoratori hanno dato un’occhiata agli elementi borghesi filo-occidentali alle manifestazioni e hanno subito voltato le spalle disgustati.

Il movimento contro la guerra non può farcela a guadagnarsi la fiducia della classe operaia russa se non si stacca dai liberali.

I nostri compagni hanno mantenuto una posizione ferma contro la posizione socialpatriottica della dirigenza del PCFR. Ma bisogna anche prendere in considerazione lo stato d’animo della classe lavoratrice, che in questo momento è in gran parte favorevole alla guerra. L’essenza della tattica consiste nell’utilizzare rivendicazioni transitorie puntuali che possano avere un’eco nella classe operaia in un determinato momento.

Non c’è ancora una situazione rivoluzionaria in Russia, ma può cambiare. Dobbiamo evitare di usare slogan che cadrebbero nel vuoto e che servano solo a isolarci dai lavoratori russi. Sarebbe un gravissimo errore confondere l’atteggiamento dei lavoratori con il socialsciovinismo reazionario di Putin e dei dirigenti del PCFR.

Lenin fece notare nel 1917 che le masse adottarono quello che lui chiamava “difensismo onesto”, e questo fatto deve essere preso in considerazione dai bolscevichi:

“La parola d’ordine ‘Abbasso la guerra!’ è naturalmente giusta. Ma non tiene conto della specificità dei compiti particolari del momento e della necessità di avvicinarsi in altro modo alle grandi masse. Secondo me, rassomiglia alla parola d’ordine ?abbasso lo zar’ che un agitatore maldestro del ‘buon tempo antico’ lanciava semplicemente e direttamente nelle campagne, ricevendo in cambio bastonate. La massa dei sostenitori del difensismo rivoluzionario è in buona fede come classe, anche se non tutti i singoli lo sono, perché essa appartiene a quelle classi (operai e contadini poveri), che non hanno realmente niente da guadagnare dalle annessioni e dallo strangolamento degli altri popoli. Ben diverso è il caso dei borghesi e dei signori ‘intellettuali’, i quali si rendono conto benissimo dell’impossibilità di rinunciare alle annessioni senza rinunciare alla dominazione del capitale e ingannano slealmente le masse con belle frasi, con promesse smisurate, con innumerevoli rassicurazioni.”

(Lenin: Il difensismo rivoluzionario e il suo significato di classe, da I compiti del proletariato nella nostra rivoluzione, aprile 1917. Il corsivo è di Lenin)

I lavoratori vedono la guerra come una guerra difensiva contro le azioni aggressive della NATO e dell’imperialismo statunitense. Pertanto, per un certo periodo saranno disposti a tollerare Putin e a sopportare le conseguenze negative della guerra.

Ma la pazienza delle masse ha dei limiti precisi. A un dato momento, soprattutto se la guerra si trascina troppo a lungo, questo si tramuterà nel suo opposto, creando un pubblico molto più ricettivo per slogan anti-governativi e rivoluzionari.

America Latina

Tutta l’America Latina affronta una grave crisi economica e sociale. Coloro che vivono in condizioni di estrema povertà, sono passati dall’11,4 per cento della popolazione a quasi il 15 per cento! Altre 7,8 milioni di persone si aggiungeranno alla schiera di persone che soffrono di quella che il CEPAL ha definito “insicurezza alimentare”, arrivando a un totale di 86,4 milioni di persone.

Ciò aggraverà tutte le tensioni sociali in un paese dopo l’altro. Vediamo questa tendenza già in Colombia ed Ecuador.

In Colombia, la vittoria di Gustavo Petro rappresenta una svolta importante, con grandi ripercussioni per il resto dell’America Latina. Petro ha vinto grazie agli elettori nelle grandi città, al voto contro la corruzione, la povertà, la disuguaglianza e la violenza, e per il cambiamento.

Ma il tipo di cambiamento che ci si può aspettare da Petro è un’altra questione. Ho discusso con lui a Caracas alcuni anni fa e ho avuto un’impressione molto sfavorevole. Ha confermato il mio sospetto che gli ex guerriglieri si rivelino sempre i peggiori riformisti.

È significativo che gli Stati Uniti abbiano accolto con favore la vittoria di Petro. L’amministrazione Biden lo vede come lo strumento migliore per tenere sotto controllo le masse, poiché decenni di repressione hanno esaurito quella strada.

Le masse dovranno passare attraverso la scuola di Petro e sarà una scuola molto dura. Ma la pazienza delle masse non è illimitata. Quando i limiti di Petro diverranno chiari, si preparerà la strada per un nuovo periodo di massicci movimenti rivoluzionari su un piano ancora superiore.

Abbiamo poi un grande movimento nelle strade dell’Ecuador, e ora ci sono indicazioni dell’inzio di un movimento simile in Perù. Sono lieto di informarvi che i nostri primi compagni in quel paese hanno partecipato attivamente a quel movimento.

Lo sciopero nazionale ha sollevato la questione di chi governa la società. Ma questa domanda non è stata risolta. Questa impasse può causare demoralizazione e smobilitazione e portare a una sconfitta. E questo è il problema centrale.

Per molto tempo, la classe operaia è stata sottoposta a imposizioni intollerabili. Tali da aver provocato una catena di esplosioni rivoluzionarie. Ora, in un paese dopo l’altro, vediamo l’esistenza di un grande fermento. In altre parole, le condizioni oggettive sono mature per la rivoluzione.

Ma il fattore essenziale – il fattore soggettivo – non corrisponde affatto alle condizioni oggettive.

Il fallimento della “sinistra”

La vera spiegazione di questo ritardo è la completa assenza di una direzione, il totale fallimento dei dirigenti dei lavoratori. In particolare la cosiddetta “sinistra”, che ovunque si è rivelata smidollata.

Li riformisti di sinistra deridono i marxisti, che considerano utopisti senza speranza. In realtà hanno abbandonato da tempo ogni idea di cambiamento della società e hanno fatto pace con il sistema capitalista.

Per una qualche ragione si considerano dei grandi realisti. Ma questo è il realismo dell’uomo che vuole persuadere una tigre a mangiare insalata invece che carne umana. In altre parole, sono il peggior tipo di utopisti.

Avendo perso ogni fiducia nel potere della classe operaia di cambiare la società, agiscono costantemente come un freno al movimento, facendo tutto ciò che è in loro potere per trattenerlo e cercando dei compromessi con il nemico di classe.

Ma la debolezza invita all’aggressività. Per ogni passo indietro dei riformisti, la classe dominante ne chiederà altri dieci.

I vecchi partiti e leader saranno messi alla prova e uno dopo l’altro verranno bocciati, preparando la strada al sorgere di un’autentica opposizione marxista. Dunque, la crisi del capitalismo significa anche la crisi del riformismo.

Le prospettive dei marxisti si dimostreranno corrette. Questo è il nostro principale punto di forza: non i numeri o il denaro o un apparato potente ma la forza delle idee. Questo è qualcosa che gli stupidi riformisti non capiranno mai.

Nel 1938 Trotskij disse che la crisi mondiale può essere ridotta a una cosa: la crisi della direzione della classe operaia. E questo è vero ancora oggi. Abbiamo visto il ruolo decisivo della direzione in Sri Lanka. E la stessa tragedia si ripeterà più e più volte, finché la classe operaia non verrà armata con l’unico programma che possa garantirne il successo finale.

La classe operaia potrà trionfare solo quando sarà armata di un programma socialista rivoluzionario. Questo programma è oggi difeso dalla Tendenza Marxista Internazionale.

“I cieli dell’economia di fanno minacciosi”

L’Economist avverte che “i cieli dell’economia si fanno minacciosi e l’imminente minaccia di un amaro inverno di malcontento… posa lo sguardo in quasi tutte le direzioni e ci sono motivi per essere preoccupati per le minacce spaventose rispetto all’economia mondiale”.

La prospettiva degli economisti borghesi è pessimista.

Tutto il sistema sta crollando attorno a loro. Eppure la classe operaia, attraverso il suo lavoro, ha creato un’immensa ricchezza, che, se usata correttamente, potrebbe risolvere tutti i problemi dell’umanità.

Le 94 migliaia di liliardi di PIL globale può sembrarci una cifra enorme oggi, ma nel futuro sembrerà estremamente modesta. Nel 1970, l’economia mondiale era all’incirca di soli 3 migliaia di miliardi di dollari di PIL, ovvero 30 volte minore di quella odierna.

Nei prossimi 30 anni, l’economia globale dovrebbe più o meno raddoppiare di nuovo. Entro il 2050, il PIL globale potrebbe avvicinarsi ai 180 migliaia di miliardi di dollari. Questo su base capitalista. In un’economia socialista pianificata,la cifra sarebbe molto più grande.

Cosa significano queste cifre? Significano che non c’è assolutamente nulla di utopico nelle prospettive del socialismo. In realtà, la base materiale per un mondo socialista esiste già. Abbiamo nelle nostre mani tutto ciò che è necessario per costruire un paradiso sulla Terra.

Ma la condizione preliminare è il rovesciamento del sistema capitalista. Grandi opportunità possono presentarsi davanti a noi molto più rapidamente di quanto immaginiamo. Ma dobbiamo essere preparati! E dobbiamo prepararci adesso, e lo possiamo riassumere in una parola: crescita.

Abbiamo le idee migliori, ma questo da solo non basta. Dobbiamo lavorare affinché queste idee diventino numeri di militanti, in modo che la qualità diventi quantità e la quantità si trasformi in qualità. Non è la stessa entrare nella nuova situazione con un’organizzazione di cento rispetto a un’organizzazione di mille.

Non dobbiamo lasciarci distrarre da questo o quel dettaglio, ma concentrare tutte le nostre energie sull’obiettivo principale, che è la costruzione dell’Internazionale rivoluzionaria.

Questa è la sfida davanti a noi. È una corsa contro il tempo. Non dobbiamo permettere che qualunque cosa ci ostacoli.

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