Egitto: la reazione rialza la testa Italian Sabato 19 marzo oltre 18 milioni di egiziani si sono recati alle urne. Sono stati chiamati a decidere sulle modifiche alla Costituzione proposte dal Comitato Costituzionale nominato dal Consiglio supremo delle forze armate, che guida il paese dalla caduta di Mubarak l’11 febbraio scorso. Il 77,2% dei votanti ha approvato le modifiche. Le forze protagoniste della rivoluzione di Piazza Tahrir si erano espresse per il “no”, ritenendo opportuna una nuova costituzione per ikl Paese e non solo un mero “maquillage” di quella in vigore ai tempi di Mubarak. Questo, che per moltissimi egiziani viene visto in modo sincero come il primo vero momento democratico della loro vita, cela dentro di se tutte le difficoltà che vive ora il movimento rivoluzionario in Egitto, dove le forze reazionarie hanno rialzato la testa e hanno sferrato attacchi contro la rivoluzione. Come già abbiamo raccontato in altri articoli su questo sito, appena preso il controllo del paese, il Consiglio Supremo delle forze armate si è affrettato a condannare gli scioperi, decisivi per la vittoria del movimento rivoluzionario, che sono continuati dopo la caduta di Mubarak, minacciando dura repressione se gli operai non fossero tornati al lavoro. Purtroppo per i militari però gli scioperi sono continuati nelle fabbriche. La voce del vecchio regime riecheggia ancora nell’aria… Le forze armate, che si sono presentate agli occhi della popolazione come amici del popolo, di fatto non hanno fatto nulla per soddisfare le richieste operaie, come l’aumento del salario minimo a 1200 lire egiziane, salario che permetterebbe un livello di vita un po’ più decente ai lavoratori. I primi partiti legalizzati sono stati al-Wasat (il centro), partito riformista islamico, e il neo-nato partito dei Fratelli Mussulmani, Libertà e Giustizia. L’esercito è consapevole (così come lo è stato il governo provvisorio tunisino, che ha legalizzato subito Al-Nahdah, partito islamico) dell’aiuto che può venire dai movimenti religiosi per il mantenimento dello status-quo e per frenare la rivoluzione. Prova di questo viene d’altronde dal ruolo giocato dai Fratelli Mussulmani durante l’era Mubarak: si può dire che sono stati all’opposizione più di nome che di fatto, poiché hanno avvallato le politiche neoliberiste e di privatizzazione portate avanti dal governo e la riassegnazione ai grandi proprietari delle terre ai confiscate da Nasser. L’offensiva controrivoluzionaria dell’esercito ha mostrato il suo vero volto, con lo sgombero violento di piazza Tahrir, dove rimaneva un presidio rivoluzionario e dove solo pochi giorni prima il neoprimo ministro Essam Sharaf si era recato in maniera chiaramente demagogica a fare il giuramento dopo la sua nomina. Il 9 marzo scorso vi hanno fatto irruzione un gruppo di uomini armati di coltelli e spranghe distruggendo le tende e cacciando le persone dalla piazza. Il giorno prima, 8 marzo, le donne, che avevano organizzato una manifestazione per ribadire la necessità di una parità dei sessi nella società e ricordare il loro ruolo decisivo durante la rivoluzione, sono state aggredite e insultate da un gruppo di uomini, a chiaro scopo intimidatorio. Anche i disordini scoppiati tra cristiani e mussulmani nei primi giorni di marzo, dopo l’incendio di una chiesa cristiana, sembrano inseriti su questa linea repressiva. Il governo egiziano già in passato aveva fatto ricorso alla divisione della popolazione in chiave religiosa per mantenerne il controllo da un lato, e dall’altro spostare l’attenzione da problemi sociali. In si trattava di dividere il fronte rivoluzionario e allentare la pressione dal basso sul governo. L’uso di questa pratica verrebbe dimostrata anche dai documenti della polizia di stato, ritrovati dai rivoluzionari. Uno di essi mostra il coinvolgimento della polizia nell’attentato di Capodanno ad Alessandria, in cui persero la vita 23 persone e più di 90 rimasero feriti. Il documento include 3 files, il primo datato 2 dicembre 2010, scritto da un giovane ufficiale, in cui si proponeva un attacco a una chiesa copta per poi suggerire che si trattasse di un attacco islamista. Gli altri appunti includevano una lista di chiese in Egitto e di informazioni sui membri delle congregazioni. Ci pare che i disordini scoppiati nei primi di marzo, che hanno visto 13 morti, si inseriscono su questa linea, tanto più che fonti indipendenti metterebbero in luce il fatto che non è chiaro se i morti siano stati provocati dagli scontri o da interventi per riportare la “calma”. Inoltre c’è da sottolineare che molti musulmani hanno partecipato alle manifestazioni a fianco dei copti, che hanno sancito slogan come “copti e musulmani sono una sola mano”. I fatto la strategia è fallita. Ritornando ai documenti ritrovati dai rivoluzionari e pubblicati sui vari blog internet: questi documenti mostrano un controllo capillare da parte della polizia di stato della società. Controllavano le elezioni studentesche, gli oppositori, le elezioni politiche, che erano naturalmente una delle priorità della polizia (in promemoria, datato 2005, si registra un incontro tra Khairat El-Shater, deputato dei Fratelli Mussulmani, e un ufficiale della polizia di stato, per accordare un numero di seggi che i Fratelli Mussulmani avrebbero potuto vincere senza nessuna interferenza della sicurezza). Da questi emerge anche chiaramente l’uso abituale della tortura. Il ritrovamento dei documenti e le pressioni del movimento hanno portato allo scioglimento della polizia politica, ma il governo ne ha creato subito un’ altra, dedita “solo” alla prevenzione del terrorismo, purtroppo non dando una definizione precisa di quello che si intenda con il termine terrorismo, il pericolo è che l’Egitto si ritrovi con una polizia repressiva a cui è cambiato solo il nome. Si diceva all’inizio dell’articolo del referendum che è stato convocato per oggi (19 marzo). Sono sottoposte al voto l’approvazione in blocco delle modifiche agli emendamenti alla costituzione del 1971. Le forze d’opposizione, ad eccezione dei Fratelli Mussulmani, avevano chiesto prima l’annullamento e poi di votare NO. Il Referendum infatti mostra le intenzioni dell’esercito, ossia attuare una transizione rapida, senza cambiare nulla di fatto. I militari d’altronde erano parte integrante del sistema di potere di Mubarak, non dimentichiamoci che era un militare, e ovviamente stanno facendo di tutto per mantenere inalterati i propri interessi e privilegi. Hanno, come si diceva sopra, fatto poche concessioni al movimento rivoluzionario, non abolendo la legge di emergenza, non sancendo miglioramenti economici o sociali, parole d’ordine della piazza. Se ci si dicesse che questi provvedimenti saranno presi da un governo democraticamente eletto, potremmo rispondere che il governo provvisorio dell’esercito non ha avuto nessun problema ad avvallare con il proprio voto nella Lega Araba la no fly-zone occidentale sulla Libia. La commissione costituzionale, incaricata di modificare la costituzione è stata nominata da Consiglio Supremo senza consultare le forze del paese, quindi di fatto non porta avanti le loro istanze. Gli emendamenti agli articoli (76, 77,88,93,179, 189) della costituzione proposti introducono il limite alla durata della presidenza a 4 anni, non estendibile per oltre due mandati. Introducono la supervisione di giudici durante l’elezione, rendono più complicato mantenere lo stato di emergenza. Sono piuttosto restrittivi i criteri per candidarsi alla presidenza dell’Egitto, rendendo più complicato per chi appartiene a movimenti non ancora organizzati partecipare alle elezioni, escludendo anche chi è sposato con un non egiziano. Questi emendamenti non riguardano gli articoli che regolano partiti e norme elettorali, quindi alle prossime elezioni si voterà con una struttura e un’organizzazione che di fatto erano modellate a garanzia del potere dittatoriale. E’ chiara l’obiezione portata avanti dalle forze rivoluzionarie ossia la necessità di riscrivere un nuova costituzione. Nonostante vi sia un emendamento che prevede che una volta eletto il presedente o metà del parlamento possano nominare una commissione che rediga la stesura di una nuova costituzione, se le elezioni saranno tra pochi mesi (si parla di due o tre), chiaramente saranno avvantaggiate quelle forze già organizzate (ossia Partito Nazionale Democratico e Fratelli Mussulmani), mettendo in difficoltà le nuove forze politiche emerse e quindi la stesura della costituzione sarebbe affidata a forze che di fatto non hanno nessun interesse al reale cambiamento, come appunto il PND (che non è stato sciolto) e i Fratelli Mussulmani. Entrambi gli schieramenti non a caso hanno fatto campagna per il Sì al referendum. Emerge da quanto detto che la rivoluzione in Egitto, come in Tunisia, non sia di fatto finita. Ma si sia solo conclusa la prima fase: la cacciata del dittatore. La rivoluzione infatti non è un percorso lineare, ma complicato, fatto di avanzate e arretramenti. Oggi la rivoluzione in Egitto e in Tunisia non è ancora riuscita a rovesciare completamente il vecchio regime, che di fatto continua controllare il paese. Questo lo abbiamo visto in numerose rivoluzioni della storia, prima tra tutte, la rivoluzione russa, che è durata nove mesi, da febbraio a ottobre, quando i lavoratori hanno preso il potere sotto la guida del partito bolscevico. In questi nove mesi ci sono stati momenti di dura reazione, che hanno preparato la strada a un nuovo avanzamento rivoluzionario. Bisogna ricordare che le masse oggi lottano per quei miglioramenti sociali che nessun governo borghese può garantire. Lottano principalmente per cibo, lavoro, case, istruzione, sanità, non per formule della democrazia borghese in cui tutto cambia per restare uguale. Le masse capiranno presto che quel che disse El Baradei in un incontro nel settembre 2010 appena rientrato al Cairo, ossia che i diritti sul lavoro passano per la conquista della democrazia, è profondamente falso (basta per capirlo guardare al numero dei morti sul lavoro in Italia, o a quello che sta succedendo alla Fiat). Le popolazioni lo impareranno sulla loro pelle, probabilmente, come ora in Egitto, ci sarà una fase di illusione tra una parte delle masse, ma sperimenteranno presto la realtà. Ci sarà un processo di differenziazione interna nel movimento, in cui una parte di giovani e lavoratori nei comitati rivoluzionari metteranno in discussione gli elementi più moderati che hanno guidato il movimento in questa fase e hanno nutrito illusioni nell’esercito. Questo in parte sta già avvenendo, questi giovani, questi lavoratori temono di perdere ciò che hanno conquistato col loro sangue. La rabbia per la disoccupazione, la corruzione, le diseguaglianze sociali (i beni della famiglia Mubarak si stimano tra i 40 e gli 80 miliardi di dollari) riesploderà dato che questi problemi sono rimasti e rimarranno al pettine. Difficile dire quali saranno gli sviluppi della situazione. Sicuramente la crisi del capitalismo renderà impossibile soddisfare i bisogni più elementari della popolazione. Probabilmente seguirà un periodo instabile dal punto di vista politico, in cui un esito possibile è un regime bonapartista. Nonostante tutti gli appelli per "unità nazionale", la società egiziana sta diventando fortemente polarizzata. La Rivoluzione gode ancora di molto sostegno tra la popolazione. Gli studenti sono in agitazione nei campus. I lavoratori scioperano, occupano le fabbriche, cacciano i manager odiati e i dirigenti sindacali corrotti. I lavoratori del settore petrolifero hanno visto vittorioso il loro sciopero, tutte le loro richieste sono state soddisfatte, tra cui le dimissioni del ministro del petrolio, in soli tre giorni. Questa mostra dove il vero potere risiede. I generali passeranno il potere a un civile. Questa sarà la controrivoluzione mascherata a democrazia. Ma non sarà facile per la controrivoluzione mantenere stabile il proprio potere. Per i lavoratori democrazia significa migliorare la propria vita, se ciò non avviene per cosa avrebbero combattuto? Il fatto che i lavoratori continuino gli scioperi e le lotte nelle fabbriche è un fattore che sarà decisivo nello sviluppo della rivoluzione, perché la classe operaia guidi un reale sovvertimento del sistema capitalista, che non garantirà mai il soddisfacimento dei bisogni delle masse. Thwrah hatta an- nasr! Rivoluzione fino alla vittoria! Source: FalceMartello (Italy)