Delta del Niger: il fallimento del terrorismo individuale e la crisi storica del capitalismo Italian Share Tweet Italian translation of Niger Delta: the bankruptcy of individual terrorism and the historical crisis of capitalism (December 20, 2007) Di notte il cielo sopra il Delta del Niger è illuminato – enormi lingue di fuoco lanciano le loro fiammate velenose nel cielo notturno, nelle acque e nei campi. Di notte, in un cortile della prigione di Port Harcourt, lo scrittore e militante Saro Wiwa e altri otto detenuti subiscono l’esecuzione, tra le voci di condanna internazionali, da parte della giunta militare del Generale Sani Abachi, colpevoli di aver “istigato e provocato” l’uccisione di quattro anziani del villaggio di Ogoni sul Delta del Niger. Dalle profondità della stessa notte emergono tre motoscafi carichi di giovani armati – i figli di quelli assassinati brutalmente sul Delta del Niger. È un nuovo tipo di esercito, un oscuro gruppo di militanti in cerca dello scontro. Attaccano una nave della Marina Nigeriana e un’imbarcazione noleggiata dalla compagnia Shell. Non ci sono vittime. Ma i militanti, che si definiscono Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger (MEND), rapiscono quattro imprenditori stranieri. Da allora attacchi, rapimenti, uccisioni e perfino bombardamenti sono diventati all’ordine del giorno nella “lotta per la liberazione” della regione. Perché i giovani ricorrono alle armi? Che cosa è successo davvero? Che cosa non ha funzionato? E che cosa è stato risolto con questi atti di terrorismo individuale? Incendi e bottini I terreni e le paludi del Delta del Niger ricoprono una delle maggiori riserve di petrolio del mondo: approssimativamente, 34 milioni di barili di oro nero. Per chiunque provenga da fuori – anche una persona abituata alle devastazioni della guerra e della povertà – i villaggi e le fattorie del Delta del Niger, un labirinto acquitrinoso di circa 50.000 km quadrati, sono una visione scioccante. Interi villaggi sono privi di elettricità, assistenza sanitaria, scuole e acqua. Una cisterna d’acqua installata circa dieci anni fa non è funzionante, costringendo la popolazione a cercare acqua da pozze fangose; condutture che fendono il terreno, chiazze di petrolio che luccicano nei fiumi, fiamme che si levano luminose e violente… A partire dagli anni ’50, quando il petrolio fu scoperto per la prima volta, la regione petrolifera del Delta e le installazioni marine al largo della costa del Golfo di Guinea hanno fatto guadagnare centinaia di miliardi di dollari al paese ed alle principali compagnie petrolifere come Shell, Chevron, Agip, Exxon Mobil. Ma, a dispetto della legge di gravità, questi miliardi non sono ricaduti sui contadini poveri della regione del Delta, né, se è per questo, sulle masse di lavoratori della Nigeria. Secondo Odiki Miebi, capo del villaggio di Oporoza nella regione di Gbaramatu, sul cui territorio si dice che il MEND abbia le proprie basi operative, “La povertà è il problema principale che dobbiamo affrontare qui”. Non c’è lavoro nella zona, e l’unica scuola del villaggio è completamente priva di strutture. Il villaggio, come del resto la maggioranza dei villaggi della regione, è in preda alla povertà. Allo stesso tempo, però, la Nigeria incassa oggi circa 3 miliardi di dollari al mese dal petrolio – che corrisponde grosso modo al 95% dei suoi guadagni da esportazione ed al 40% del prodotto interno lordo. Fu la dittatura militare del Generale Olusegun Obasanjo che avviò questo sistema, trasferendo la proprietà di tutte le risorse petrolifere al governo federale. Le rendite così accumulate avrebbero dovuto essere divise “equamente” tra il governo federale, i singoli governi regionali e i governi locali. Ma il problema è ciò che e il governo federale e i governi regionali e locali fanno con questo denaro. Grazie all’elevato prezzo del petrolio, gli stati del Delta del Niger produttori di petrolio hanno ottenuto un aumento delle risorse federali. Anche il governo federale ne ha tratto vantaggio. Il Paese era nella situazione perfetta per beneficiarne. Tuttavia, questo non è avvenuto. Al contrario, si è instaurato una specie di sistema feudale, con le varie componenti del governo che si limitavano ad usare le proprie rendite per sostenere ciascuna il suo potere, arricchendo le proprie famiglie, amici e sostenitori – e amanti, come ha fatto il Presidente regalando un’automobile alla sua “fidanzata”, stando a quanto ha affermato il Vice Presidente. Purtroppo, questa benevolenza non si estende all’enorme maggioranza di cittadini che continuano ad essere avvolti nella povertà. Questo è stato l’andazzo negli ultimi decenni. Oggi la Nigeria è il sesto maggior produttore mondiale di petrolio, e pare che vi siano riserve eccedenti per 40 milioni di barili, oltre a una gigantesca quantità di gas naturale. Ma a differenza del Venezuela, che è il quinto maggior produttore mondiale di petrolio, il governo nigeriano destina alle masse di lavoratori nient’altro che grandiosi piani di investimento per il futuro e tante “Commissioni”. Nessuna di queste Commissioni ha avuto alcun impatto significativo. Le hanno formate e si sono sciolte, niente di più. Ma nel frattempo il problema rimane. L’ultima di queste Commissioni, la Commissione per lo Sviluppo del Delta del Niger (NDDC), venne costituita nel 2000 come uno strumento per coordinare lo sviluppo della regione. Che risultati ha ottenuto? La risposta è giunta nel modo più esplicito nel marzo 2006, quando una bomba è stata fatta esplodere nel parcheggio dell’ufficio della Commissione a Port Harcourt. In seguito esplosivi al plastico sono stati piazzati all’interno di uno degli uffici, nel tentativo probabile di far saltare in aria l’edificio. Finanziata congiuntamente dalle compagnie petrolifere, che dovrebbero versare il 3% del loro fatturato locale, e dal governo federale, la Commissione ha approssimativamente 235 milioni di dollari di spese all’anno. Tuttavia, secondo Anietie Unsen, capo dell’ufficio societario della NDDC, “si tratta di noccioline in confronto ai problemi della regione” (Time, 22 maggio 2006). Inoltre, dice Anietie, il governo federale è di solito molto lento nel versare la propria parte, “… questo rende le cose più difficili”. L’anno scorso il governo federale ha annuciato il progetto per l’ennesima cattedrale nel deserto: piani per costruire un’autostrada da 1,8 miliardi di dollari che attraversi la regione, creando 20.000 nuovi posti di lavoro nell’esercito, nella polizia e nelle compagnie petrolifere statali per aiutare i più disagiati. Di pari passo con queste false promesse procede la questione della corruzione. L’assenza totale di trasparenza nella gestione delle rendite e dei profitti mantiene la Nigeria nelle fasce peggiori dell’indicatore mondiale della corruzione stilato annualmente dall’Agenzia Internazionale per la Trasparenza. Il sottosviluppo economico e il tasso di corruzione istituzionalizzata aumentano proporzionalmente all’aumento del Pil del Paese, fondato sul petrolio. L’anno scorso un’ispezione nelle industrie petrolifere ha rilevato discrepanze, nell’ordine di milioni di dollari, tra quanto le compagnie petrolifere hanno dichiarato di aver pagato al governo e quanto il governo ha affermato di aver ricevuto. E che cosa fa il governo, sia al livello federale che a quello dei singoli stati, con questi soldi? Prendiamo per esempio lo Stato di Rivers. Grazie all’elevato prezzo del petrolio nei mercati internazionali, il governo di questo stato produttore ha visto incrementarsi le proprie entrate. Al punto che il governo di Peter Odili ha acquistato due jet, una mossa che Magnus Abe, Commissario statale per l’Informazione, ha difeso: “Non credo”, ha affermato, “che si possa combattere la povertà tornando a vivere nelle caverne. Abbiamo bisogno degli aerei per un sacco di motivi.” (Time, 22 maggio 2006) Ecco! Il signor Commissario per l’Informazione probabilmente ignora che la maggior parte delle scuole dello Stato di Rivers sono prive di arredi e cadono letteralmente a pezzi. Anche le strade sono in pieno abbandono. Eppure, tra il 2005 e il 2006, le spese di mantenimento del Palazzo del Governo dello Stato di Rivers sono aumentate da 38,6 milioni di dollari a 81,1 milioni di dollari. Al confronto, gli aumenti della spesa pubblica per i salari dei dipendenti statali hanno a malapena pareggiato il tasso di inflazione. La maledizione del petrolio Il petrolio non ha portato né prosperità né pace alla Nigeria. Nonostante le sue immense risorse, in Nigeria vediamo politiche economiche tra le più squallide, corrotte e socialmente inique nel mondo. Una ricchezza enorme è concentrata in pochissime mani, una minuscola oligarchia che non si dedica ad altro che a sconsiderate orge di spreco senza motivo. Il Paese è segnato dalla stagnazione economica e dalla crescente diseguaglianza. L’attuale aumento dei prezzi del petrolio ha concentrato grandi risorse nelle mani di una minuscola élite politica. La povertà delle masse che muoiono di fame, insieme al sottosviluppo economico, cresce in proporzione alla crescita delle entrate per il petrolio; la corruzione e la violenza nella politica sono cresciute in pari misura. Nonostante la Nigeria abbia guadagnato più di 400 miliardi di dollari per le entrate provenienti dal petrolio negli ultimi 35 anni, una parte imponente di questi ricavi petroliferi è semplicemente “scomparsa” a causa della corruzione e dell’illegalità diffuse ad ogni livello nelle istituzioni. Secondo Nuhu Ribadu, lo zar “anti-corruzione”, il 70% della ricchezza petrolifera del Paese è stato rubato o sprecato, nel 2003; nel 2005 la percentuale è scesa a “solo” il 40%. La situazione evidenzia l’estrema voracità e la natura meramente parassitaria della classe dirigente nigeriana. Mentre gran parte della popolazione si dibatte nella povertà e nella miseria crescenti, il governo, fin dagli anni ’60, ha sviluppato meccanismi per spartire quote di petrolio e rendite ai suoi scagnozzi. L’industria petrolifera nigeriana non è dunque nient’altro che una gallina dalle uova d’oro ormai spremuta per una piccola elite privilegiata, nient’altro che un feudo privato del Presidente. Secondo fonti della Banca Mondiale, circa l’80% del denaro proveniente dal petrolio nigeriano è concentrato nelle mani dell’1% della popolazione; il 70% della ricchezza privata viene custodita all’estero, in banche straniere, mentre si stima che il 70% della popolazione nazionale viva con a malapena un dollaro al giorno, se non meno. Il reddito nazionale annuale pro capite è rimasto invariato tra il 1960 ed il 2004, ma la distribuzione del reddito è andata notevolmente peggiorando. Il Trattato Petrolifero del 1969 stabilisce che “l’intera proprietà ed il controllo di tutto il petrolio in qualsiasi territorio al quale questo trattato si applica (cioè il territorio nigeriano, comprese le acque territoriali) dovranno essere assegnati all’interno dello Stato”. Questa disposizione venne ulteriormente rafforzata nel 1978, quando il governo dell’allora generale Olusegun Obasanjo promulgò il “Decreto di utilizzo dei terreni”, sottraendo la terra al controllo delle comunità locali e assegnandolo al governo centrale, che l’avrebbe dato in affidamento dai governi dei singoli stati. Questo Trattato è stato ulteriormente esteso nel 2003, con l’inclusione dei giacimenti petroliferi situati in mare aperto, controllati principalmente attraverso la Compagnia Nazionale Nigeriana del Petrolio (NNPC). In nessun luogo i paradossi della povertà e dello squallore in mezzo alle grandi ricchezze generate dal rialzo dei prezzi del petrolio sono visibili in tutta evidenza come nel Delta del Niger, territorio dove sorge inoltre la terza più vasta foresta di mangrovie del mondo e la più ampia giungla d’acqua dolce dell’Africa occidentale e centrale, un’area di intensa biodiversità. Il Delta quindi non è soltanto una fonte di ricchezze petrolifere da spartire tra la classe dirigente nigeriana; è anche un ambiente naturale vitale e fragile, che viene distrutto dal capitalismo nella sua fase di decadenza senile. A dispetto della loro importanza economica ed ecologica, gli stati del Delta sono sotto la media nazionale praticamente in tutte le misure di sviluppo sociale ed economica. Il Delta del Niger rimane povero. I suoi abitanti continuano a sopravvivere in condizioni precarie, basandosi su una pesca in sempre maggiori difficoltà e sull’agricoltura delle fattorie. Negli ultimi tre decenni, contadini e pescatori hanno dovuto competere con le multinazionali del petrolio per l’utilizzo del poco spazio a disposizione. Il costo umano ed ambientale di oltre quattro decenni di sfruttamento del petrolio nel Delta del Niger è stato devastante. La relazione sullo sviluppo del Delta del Niger elaborata dal Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite nell’agosto 2006 afferma che “le ingenti entrate hanno a malapena intaccato la dilagante povertà del Delta del Niger”. Negli stati produttori di petrolio di Bayelsa e Delta, per esempio, c’è un solo dottore ogni 150.000 abitanti. Terrorismo individuale Circa una quarantina d’anni fa, scoppiò la prima insurrezione. Nel febbraio 1966, Isaac Adaka Boro, uno studente laureato all’Università della Nigeria, Nsukka, formò il Corpo dei Volontari del Delta del Niger (NDVS), una milizia che comprendeva diversi giovani istruiti di etnia Ijaw, e proclamò le aree dell’allora chiamata “Regione Orientale” della Nigeria in cui si parlava la lingua Ijaw una “Repubblica del Delta del Niger indipendente”. In una dichiarazione di indipendenza in undici punti, Boro affermò che “tutti i precedenti accordi riguardanti il petrolio grezzo sottoscritti dal defunto governo “nigeriano” nel territorio sono stati dichiarati nulli”, e che “si ordina a tutte le compagnie petrolifere di interrompere le perforazioni e di rinegoziare gli accordi con la nuova Repubblica. L’inosservanza di questo ordine comporterà la proibizione delle perforazioni e la perdita del diritto a rinnovare gli accordi”. La rivolta venne schiacciata nel giro di un paio di settimane ed i “militanti” sostennero la fazione federale nella guerra civile con la Regione Orientale. Dopo quarantatre anni, le condizioni nel Delta rimangono, come dice il rapporto delle Nazioni Unite, “di calamità”. Una notte, nel cortile di una prigione di Port Harcourt, lo scrittore e attivsta Saro Wiwa ed altri otto militanti vennero giustiziati, tra l’indignazione internazionale, dalla giunta militare del Generale Sani Abacha, per aver “istigato e provocato” l’uccisione di quattro anziani del villaggio di Ogoni sul Delta del Niger. La Squadra speciale – selezionata tra l’esercito, la polizia, la marina e l’aeronautica – fece una carneficina, giustiziando e distruggendo interi villaggi, istituendo un regno del terrore. Gli abitanti fuggirono nelle regioni paludose, lasciandosi indietro i propri beni, una comunità devastata da case incendiate e cadaveri insanguinati di parenti e amici. Quanti sono riusciti a fuggire parlano di stupri, massacri e villaggi dati alle fiamme. Ad un certo punto nel 2002, un folto gruppo di donne di etnia Ijaw occupò le raffinerie petrolifere della compagnia Chevron vicino a Warri, chiedendo posti di lavoro per gli abitanti locali, e segnando una crisi sempre più profonda intorno alla questione del “controllo delle risorse”. Nel marzo 2003, sette lavoratori petroliferi furono presi in ostaggio, causando la prolungata chiusura di stabilimenti petroliferi ed il ritiro di parte del personale, riducendo la produzione di oltre 750.000 barili al giorno (il 40% della produzione nazionale). Dalla fine del 2005, la situazione nel Delta del Niger è peggiorata. Due auto-proclamatisi “combattenti per la libertà”, Ateke Tom (Vigilante per il Delta del Niger) e Alharji Asari Dokubo (Milizia Popolare Volontaria del Delta del Niger), entrambi guidati e parzialmente finanziati con denaro proveniente dal petrolio, ed attivamente organizzati e mantenuti da politici molto in alto, come delle squadracce al loro servizio, ha trasformato ulteriormente lo scenario politico del Delta. L’attuale campagna di violenza nel Delta è iniziata l’11 gennaio 2006 con un attacco ad una nave della Marina e ad una imbarcazione presa a noleggio dalla compagnia Shell, da parte di uomini armati di pistole caricati a bordo di motoscafi. Non ci sono state vittime, ma gli assalitori, che si definivano il Movimento per la Liberazione del Delta del Niger (Mend), hanno preso in ostaggio quattro lavoratori di imprese straniere. Verso la fine di dicembre 2006, il Mend ha lanciato un appello perché la comunità internazionale evacuasse dal Delta del Niger entro il 12 febbraio, altrimenti avrebbe dovuto “fronteggiare violenti attacchi”. Da allora si sono succeduti una serie di attacchi contro tutte le installazioni petrolifere e contro il personale militare che ne è a guardia, e si sono verificati diversi rapimenti. Rispetto ad allora, oggi il numero di morti legate all’industria del petrolio nella regione del Delta è incrementato notevolmente, mentre la produzione di petrolio è stata ridotta in modo consistente. Per rappresaglia, il Presidente uscente Obasanjo ha inviato ulteriori truppe per rafforzare le l’esercito già presente nel Delta e, in una recente esplosione, non meno di 60 militanti sono stati dichiarati morti, ed altri 100 sono stati arrestati in due giorni di combattimenti nello stato di Bayelsa nell’agosto 2006. Trotskij scrisse una volta che “Il lavoro terroristico, nella sua essenza, richiede tanta energia concentrata per il “grande momento”, una tale sovrastima del significato del terrorismo individuale, e, infine, un simile spirito di cospirazione “ermetica”, che – se non logicamente, almeno psicologicamente – esclude del tutto il lavoro di propaganda e organizzazione tra le masse.” La campagna di attentati e bombe intrapresa dal Mend e da altri simili gruppi militanti nel Delta non raggiungerà la “liberazione del Delta del Niger”. Darà semplicemente al regime una scusa per scatenare le forze della repressione, che saranno utilizzate non soltanto contro i lavoratori del Delta del Niger, ma inevitabilmente contro i lavoratori di tutta la Nigeria. In verità, in una occasione, i sindacati dei lavoratori del settore petrolifero, Nupeng e Pengassan, hanno tenuto un incontro con il regime minacciando che non sarebbero tornati al lavoro finché la loro sicurezza non fosse garantita. Così, invece che conquistare i lavoratori e i cittadini del Delta alle sue posizioni, la campagna di attentati e omicidi rischia di allineare i lavoratori alle posizioni del regime, di fronte al fallimento della dirigenza del NLC di offrire una chiara ed effettiva leadership nella lotta non solo contro il settarismo, ma anche contro la radice ultima della povertà, che dilaga non solo nel Delta del Niger, ma anche nel resto della Nigeria. Non è escluso che ad un certo punto la classe dirigente, preoccupata dal calo della produzione provocato dalla campagna di questi gruppi, reintrodurrà la legge marziale. La campagna di attentati e omicidi nel Delta, invece di allontanare questa prospettiva, la sta di fatto avvicinando. Per adesso, comunque, grazie all’alto prezzo del petrolio nei mercati internazionali, la classe dominante terrà questa soluzione come estremo rimedio. Ma questa minaccia pende sulla testa dei lavoratori nigeriani. L’incuria e la distruzione del Delta, la povertà dilagante a dispetto di anni di enormi profitti petroliferi, è la conferma evidente che né un cosiddetto governo “democratico” del Presidente uscente Obasanjo o del nuovo Presidente Umaru Yar’Adua, né una dittatura militare, possono risolvere i problemi della Nigeria all’interno di un regime capitalista. Mai come oggi questo Paese ha ottenuto tanto denaro dal petrolio. Ma allo stesso tempo, mai come oggi c’è stata tanta povertà, e tanta mancanza di fiducia nel governo. La campagna di violenza nel Delta non risolverà nulla. Ciò che la situazione rivela non è altro che il vicolo cieco del terrorismo individuale e quello del capitalismo. È la conferma evidente della teoria della rivoluzione permanente. Per nazioni arretrate come la Nigeria, la strada per lo sviluppo non passa attraverso il capitalismo, ma attraverso la rivoluzione socialista ed una radicale ricostruzione delle relazioni sociali. Redistribuire la ricchezza Solo una rivoluzione socialista può risolvere i problemi del Delta. Solo attraverso quest’ultima si può portare avanti lo sviluppo ed una pace duratura, e garantire il “controllo delle risorse” ed il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Non si tratta di semplice teoria, bensì, al contrario, delle deduzioni ineccepibili tratte dall’intera esperienza della nostra storia, recente e meno recente. Anni di privatizzazioni non hanno risolto i problemi delle masse lavoratrici. Non hanno risolto i problemi economici della Nigeria. I settori economici strategici, ed in particolare quello petrolifero, devono essere nazionalizzati ed utilizzati come una base per sviluppare un sistema sanitario e di istruzione di qualità per le masse lavoratrici. Solo un governo della classe operaia può ottenere questo – attraverso un partito della classe operaia. Ora è il momento. 20 dicembre 2007 Source: FalceMartello