Cosa succede in Ucraina?

Le proteste di piazza a Kiev e in Ucraina hanno attirato l'attenzione dei media: migliaia di persone scese per strada, chiedendo l'adesione al trattato di associazione con l'Unione Europea, secondo quanto possiamo leggere e vedere dai resoconti di giornali e tv.

In realtà, le contraddizioni in seno alla società ucraina sono molto più profonde di quanto viene mostrato in mondovisione, e sono meno semplici di un proclamato sentimento “europeista”. Una strana rivolta a favore di Bruxelles, in un momento in cui l'UE è in preda alle convulsioni della crisi economica, e con una crisi di prospettive su diversi piani senza precedenti nella sua storia.

La strada verso il partneriato

Il percorso intrapreso dal presidente Viktor Yanukovych verso la firma del trattato di associazione con l'Unione Europea sembrava dato per concluso, con addirittura convegni già convocati sugli effetti dell'accordo di Vilnius sul futuro dell'Ucraina. Prima dell'improvviso dietrofront, il 20 novembre, il premier Mykola Azarov confermava i preparativi della delegazione verso il summit di nove giorni dopo durante una conferenza stampa a San Pietroburgo, sostenendo di non aver cambiato piani. Il giorno successivo, giovedì 21 novembre, una nota del consiglio dei ministri di Kiev sospendeva i negoziati, senza però ritirare la partecipazione del proprio governo al vertice.

A causare il congelamento degli accordi sono intervenuti diversi fattori, essenzialmente basati sulle condizioni economiche dell'Ucraina, un paese che sembra non uscire mai dal tunnel imboccato dopo il crollo dell'URSS. Il ruolo della Russia e delle pressioni, politiche e non, esercitate da Vladimir Putin è stato importante fino a un certo punto, perché a farla da padrona sono state le controindicazioni sull'economia ucraina, anche perché, come affermato da uno dei negoziatori europei al Der Spiegel, “(Yanukovych) ha portato avanti più riforme del suo predecessore filo occidentale, Yulia Timoshenko”. La lettera dell'FMI al governo ucraino, in cui si chiedeva l'aumento del 40% delle tariffe energetiche, il congelamento degli stipendi e il taglio alle spese sociali, ricevuta il 20 novembre, è stata l'ultima goccia per la retromarcia. Già di per sé le procedure d'associazione all'UE prevedono la liberalizzazione economica e l'ulteriore apertura del mercato ai capitali stranieri, il che, unito alla possibilità quasi certa di perdere una quota importante delle proprie esportazioni verso la Russia (a cui sono diretti 1/3 degli scambi) ha fatto tremare il presidente ucraino, timoroso di un rovinoso peggioramento della situazione sociale e dell'instabilità politica. La difficoltà dovuta alla dipendenza energetica del paese, importante snodo del gas russo, ha contribuito poi a far recedere le velleità europeiste di Azarov e del suo governo.

I diktat europei e l'azione di Mosca

Le condizioni previste dal partneriato possono presentare degli scenari drammatici per milioni di lavoratori: il mercato sarà aperto a prodotti più economici e di maggiore qualità, con il problema, per il commercio ucraino, di non poter esportare i propri su altri mercati (Russia e paesi ex sovietici). L'introduzione delle norme europee, ad oggi non adottate in Ucraina, e le quote di mercato porterebbe alla chiusura di ciò che resta dell'apparato industriale; tutto ciò è apparso come una minaccia anche a quella parte della borghesia ucraina pronta a cambiare fronte, passando dall'orientamento verso Mosca a quello verso Bruxelles. La poca flessibilità dei funzionari europei nel negoziare condizioni più favorevoli per Kiev ha successivamente prodotto la crisi attuale. Yanukovych ha visitato anche Pechino in questi giorni, in cerca di prestiti e di condizioni favorevoli anche da parte della Cina, ormai sempre più presente a livello globale.

Mosca gioca su alcuni fattori fondamentali: il prezzo del gas e dei combustibili, la minaccia di introdurre il visto per i cittadini ucraini, e la chiusura del proprio mercato all'agricoltura e alla produzione alimentare di Kiev. In Russia lavorano oltre un milione e trecentomila (1.342.476, dati dell'Ufficio Immigrazione russo) ucraini, di cui circa 550 mila illegalmente, agevolati dall'assenza del regime di visti, e questi lavoratori costituiscono una percentuale importante della forza lavoro migrante, pari al 13,3%. In Italia ci sono circa seicentomila ucraini, di cui solo 153 mila regolarizzati. Le rimesse degli immigrati costituiscono il 25% del PIL nazionale, di questi il 9% dalla Russia e il 6,5% dall'Italia. Lo sfascio dell'era post-sovietica continua a colpire le campagne, ormai svuotate di uomini e donne, con un'incidenza più alta dell'emigrazione dalle zone tradizionalmente contadine dell'Ucraina occidentale. Anche le condizioni previste dall'adesione all'Unione Doganale con Mosca possono penalizzare il sistema ucraino: quel che è stato descritto per l'UE, nel caso di un ingresso di Kiev nella TS (Tamozhennyj Soyuz, Unione Doganale) potrebbe avere le stesse conseguenze: quanto sta avvenendo in Russia a seguito dell'entrata nel WTO con la crescita delle tariffe, la distruzione del sistema d'istruzione e la liquidazione dell'Accademia delle Scienze, e la privatizzazione della sanità sono un ulteriore monito alla classe operaia ucraina.

Rivoluzione o rivolta nazionalista?

Ad organizzare EuroMajdan, come è stata soprannominata la mobilitazione in corso nella centrale piazza (Majdan) dell'Indipendenza, sono state le forze all'opposizione del governo. Queste forze sono composte di oligarchi in rottura con il governo, sostenitori di Yulia Timoshenko (in carcere dal 2011), dal partito Udar (legato alla CDU tedesca) guidato dall'ex pugile Vitalii Klichko e da Svoboda, partito d'estrema destra e ultranazionalista. La presenza dei nazionalisti, raggruppati attorno alle bandiere di Svoboda e del “Blocco di destra del Majdan”, ha subito provato ad egemonizzare la piazza: azioni squadriste contro manifestanti “non conformi”, lo slogan di liberare le strade da omosessuali e liberali, e la volontà di procedere allo scontro. L'Assemblea nazionale ucraina – Autodifesa popolare ucraina (UNA-UNSO) ha guidato gli assalti di questi giorni, con l'aiuto di membri di Svoboda. Quest'ultima formazione ha una concezione molto particolare di Europa, visti i suoi rapporti con il Front National di Marine Le Pen e con i camerati italiani di Forza Nuova, una cui delegazione ha visitato recentemente Kiev.

Andriy Mokhnyk, vicepresidente di Svoboda, ha elogiato i tentativi di coordinamento compiuti dai forzanovisti e li ha invitati a partecipare alla marcia in onore dell'Esercito popolare ucraino, l'UPA, macchiatosi durante la Seconda guerra mondiale dei massacri di ebrei e polacchi nell'Ucraina occidentale ( ). Oleh Tyagnibok, capo indiscusso di Svoboda, si è reso più volte autore di dichiarazioni antisemite che hanno provocato lo sdegno della comunità ebraica e la sua esclusione, nel 2004, dalle liste di Nasha Ukraina. L'ultima azione organizzata dai giovani del partito di Tyagnibok prima delle mobilitazioni è stata l'irruzione violenta durante la presentazione di una raccolta di scritti di Trotskij, con la denuncia della propaganda “omosessuale e satanista” (il video della provocazione lo si trova qui ). Non è la prima volta che avviene, e la caccia ai sindacalisti scatenata dagli squadristi in questi giorni è un'ulteriore tremenda conferma dell'avanzata delle forze neofasciste in Ucraina e della loro impunità, agli occhi della polizia e dell'opposizione “occidentale” e “liberale” che ci viene descritta: durante le assemblee a più riprese si son sentiti discorsi in difesa della razza ariana, e il saluto “Slava Ukrainy” (Gloria all'Ucraina), tipico delle formazioni collaborazioniste del Terzo Reich, è riecheggiato più volte nel centro di Kiev. L'egemonia esercitata da queste formazioni rischia di diventare un pericolo anche per quella parte della gioventù scesa in piazza per un'associazione che rischia di non divenire mai realtà, come è il caso della Turchia, da 50 anni partner dell'Unione Europea.

Alle masse lavoratrici ucraine vengono presentate due possibilità: la prima è il mantenimento dello status-quo, con l'iperinflazione, la perdita progressiva di competitività e di efficienza e la crisi finanziaria. La seconda è rappresentata dalle riforme liberiste, dalla liquidazione dei settori chiave dell'economia, l'aumento esponenziale del costo di acqua, luce e gas, e dalla disoccupazione di massa. Un proverbio popolare nell'ex Urss dice quanto sia poco saggio scegliere tra la peste e il colera, e la via d'uscita della classe operaia è una sola: fermare il decadimento del proprio paese con l'occupazione e la riapertura delle fabbriche sotto il controllo operaio, e da questa partire alla riscossa e alla riconquista del futuro. Tra la peste dell'Unione Europea e il colera dell'Unione Doganale, c'è una sola medicina: il socialismo.

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