Con o senza Berlusconi, il governo è sempre dei padroni

Enrico Letta incassa un voto di fiducia ancora più ampio di quello ottenuto al suo insediamento, la crisi di governo si conclude con la ritirata di Berlusconi, la Borsa segna indici positivi e la borghesia festeggia. 

La crisi politica italiana si è risolta, dunque? Niente affatto.

Il voto del Senato ha aggiunto semplicemente un nuovo capitolo alla crisi di sistema del capitalismo italiano. Berlusconi è in declino, ma non è finito. Nel Popolo della libertà-Forza Italia la guerra interna continuerà in modo dilaniante in ogni occasione. La contraddizione all’interno della destra è semplice: Alfano ha il consenso dei poteri che contano, ma il Cavaliere ha i voti. Il centro non esiste, di Monti si sono perse le tracce pure a “Chi l’ha visto?”.

La borghesia italiana è costretta a governare attraverso l’unità nazionale, ma l’unità nazionale destabilizza e decompone i partiti che ne fanno parte. La prima formazione ad esserne colpita è stata il Pdl, ma più durerà il governo Letta-Alfano, più tutte le contraddizioni si faranno sentire all’interno del Partito democratico.

Anche con un Berlusconi ridimensionato, questo governo è sempre dei padroni e risponde direttamente ai dettami della Troika e della finanza internazionale. Letta promette la ripresa economica dietro l’angolo, ma la crisi sociale precipita e i provvedimenti che il governo ha in cantiere andranno ancora una volta a incidere sulla carne viva.

La “manovrina” da 1,6 miliardi è costituita da tagli alle spese statali e dismissioni dei beni del demanio. Intanto l’Iva cresce, ed anzi si parla di elevarla dal 4 al 7% per tutti i generi alimentari. La service tax, introdotta per sostituire l’Imu, peserà per oltre mille euro sugli affittuari, vale a dire soprattutto famiglie di lavoratori e pensionati, mentre ci sono 250mila sfratti per morosità (140 al giorno) in tutta la penisola!

Il rinnovo della cassa integrazione in deroga non arriva ancora, ma si trovano i soldi pubblici, attraverso l’intervento di Cassa depositi e prestiti e Poste, per “salvare” Alitalia e Telecom. In realtà, affinché lo Stato le ristrutturi, con i nostri soldi, per poi rivenderle di nuovo ai privati. Il tutto aspettando nuove stangate nella “legge di stabilità”, in arrivo entro ottobre.

Le divisioni non sono esclusiva solo delle forze al governo, ma anche di quelle all’opposizione. La spaccatura tra Grillo e il gruppo parlamentare dei 5 Stelle sull’abolizione del reato di immigrazione clandestina ne è un’indicazione. È una conferma della natura precaria e instabile del M5S, le cui divisioni si acuiranno inevitabilmente con lo sviluppo dei conflitti e della lotta di classe.

La direzione della Cgil in questa crisi si è immolata a favore di Letta. Per la Camusso, la caduta del governo sarebbe equivalsa all’undicesima piaga d’Egitto!

Per i loro servigi, Letta-Alfano promettono a Cgil-Cisl-Uil una riduzione del cuneo fiscale. Si parla forse di 200 euro in busta paga nel 2014, in cambio di queste briciole (che comunque verranno riprese con gli interessi attraverso l’aumento delle tasse indirette e delle imposte locali), i padroni vedranno sostanziosi sgravi fiscali e contributivi: chi ha sempre pagato continuerà a pagare, chi ha sempre evaso, eluso e goduto di sgravi e contributi, continuerà a ricevere.

Il bilancio dell’azione della segreteria Camusso è probabilmente il peggiore nella storia della Cgil nel dopoguerra: hanno ceduto senza combattere sulle pensioni, sull’art. 18, in due anni di unità nazionale (prima Monti, adesso Letta) i vertici della Cgil non hanno alzato un dito per organizzare la resistenza a questi provvedimenti né all’ondata devastante di licenziamenti e chiusure aziendali. Per questo nel congresso della Cgil lotteremo per una alternativa netta a questa linea fallimentare, ed è grave che i dirigenti della Fiom si siano sottratti a questa battaglia essenziale, siglando una tregua incomprensibile con Susanna Camusso.

Il problema è tutto qui: i padroni si fanno sentire eccome, ma a sinistra risponde un silenzio di tomba. Il gruppo parlamentare di Sinistra ecologia libertà, che teoricamente sarebbe l’opposizione di sinistra, è disposto ad andare oltre l’inverosimile. Erano disponibili a votare la fiducia a Letta subentrando a Berlusconi, così come sono disposti al gioco di sponda con Renzi pur di non perdere la loro stella polare, ossia il rientro nel “piano nobile” della politica attraverso l’alleanza col Pd.

La ricerca di una seria risposta agli attacchi di governo e padroni e al clima nauseabondo dall’unità nazionale è visibile e ben presente nella società italiana, ma nessuno è disposto a raccoglierla con coerenza.

La manifestazione della “via maestra” del 12 ottobre lo ha mostrato fin troppo chiaramente. La presenza della Fiom ha ovviamente fatto sperare tanti attivisti di sinistra che in questi anni hanno visto nel sindacato metalmeccanico un riferimento a sinistra.

Il segretario della Fiom Maurizio Landini, nelle assemblee di presentazione della manifestazione, ha ribadito che “la manifestazione del 12 ottobre sarà l’inizio di un processo, non la fine”. Ma l’inizio di cosa, non si capisce. Landini ci spiega che il proposito non è “fondare un partito, che ce ne sono già troppi”. Se le cose stanno così, caro compagno Landini, vuol dire che ti accontenti dei partiti presenti. Vuol dire che pensi che con milioni di parole sulla “legalità, sui “valori della Costituzione”, sulla “Repubblica fondata sul lavoro” si possano riportare alla ragione le povere anime perse del centro-sinistra. Ma non sono anime perse, i dirigenti del Pd: sono politici borghesi che fanno il loro mestiere e rispondono ai loro referenti di classe. A sbagliare non sono loro, ma sono coloro che continuano a tirarli per la giacchetta.

Difendere i diritti democratici è un dovere, ma se si parla di “legalità” come di un valore della sinistra, qualche chiarimento andrebbe fatto: le migliaia di licenziamenti, gli esuberi, la povertà che dilaga, le pensioni da fame, le scuole allo sfascio, due milioni di giovani senza studio e senza lavoro, le stragi nel Canale di Sicilia, la militarizzazione della Val Susa… sono tutti perfettamente “legali”, una legalità che non vogliamo tutelare ma combattere fino in fondo perché è la legge del più forte, la legge dei padroni trascritta in articoli dei codici.

Se “i lavoratori non hanno una voce, mentre i padroni ne hanno tante”, Landini è il primo che dovrebbe impegnarsi a fornirne loro una. Non è più tempo del “vorrei ma non posso”, di dirigenti che non si assumono le proprie responsabilità fino in fondo.

È di una direzione combattiva e coraggiosa che la classe operaia di questo paese ha bisogno. È di un partito dei lavoratori, che li rappresenti fino in fondo e organizzi il conflitto oggi spezzettato in mille vertenze senza un riferimento comune.

Di una sinistra degna di questo nome che si ricostruisca a partire dall’indipendenza di classe, tramite una rottura netta con i partiti del grande capitale, compreso il Partito democratico; dalla fine di ogni illusione governista ed elettoralista; dalla comprensione della necessità di una linea alternativa rispetto a quella dei vertici della Cgil.

Si deve ripartire dal conflitto di classe e dalla lotta intransigente contro il sistema capitalista. Dalla riscoperta di un programma di alternativa rivoluzionaria e dal lavoro paziente di radicamento nei luoghi di studio e di lavoro.

In poche parole da una sinistra di classe: questo è la proposta di lavoro che rivolgiamo a tutti i militanti della sinistra delusi e senza partito, a coloro che militano in Rifondazione comunista, a tutte quelle migliaia di giovani e lavoratori che vogliono lottare per una società migliore.

14 ottobre 2013

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